Ogni volta che scrivo una storia la cui facile moralina è che siamo un mondo con la curva d’apprendimento piatta, incapace di evitare di ripetere gli errori ogni volta tali e quali, ogni volta mi dico che sarà l’ultima, che stavolta capiremo, stavolta miglioreremo, e invece niente, eccoci daccapo qui.

C’è una scena, nelle prime puntate del “Portobello” di Marco Bellocchio, proiettate alla mostra del cinema di Venezia, in cui i carcerati votano alle elezioni, e nel bugigattolo adibito a seggio elettorale in prigione Enzo Tortora mette la croce sul Partito Liberale Italiano. Chissà quante generazioni, davanti ai televisori quando andrà in onda, penseranno sia un’invenzione narrativa per non metterci i partiti veri.

Poi ci siamo noi il cui immaginario politico si è formato nel Novecento: non so nessun nome di partito creato in questo secolo, mi spiace, non riesco a memorizzarli. Ogni volta che i giornali, per risparmiare sulla lunghezza d’un titolo, mettono una sigla invece di scrivere per esteso il nome del partito, io vado in confusione: per me quello con le iniziali che sono una effe e una i è Forza Italia, mica Fratelli d’Italia. Negli articoli controllo e correggo, ma nelle conversazioni in cui si parla della Meloni dico ancora «Alleanza Nazionale».

Quindi, quando ho letto che IV aveva presentato un’interpellanza per sapere a spese di chi Giorgia Meloni fosse andata a New York con la figlia, ho pensato: ah, certo, Italia dei Valori, figurarsi, Di Pietro che era Grillo prima che Grillo fosse Grillo (non so se Bellocchio non sappia che il Di Pietro che interrogò Tortora era un altro, o se lo sappia ma abbia preso un attore identico al Di Pietro più famoso per divertimento – ma sto divagando).

E invece no, era un partito non nel mio radar in quanto formatosi dopo che la lira era andata fuori corso, era Italia Viva. Era stato il partito di Matteo Renzi a fare di tutto per aumentare il consenso della Meloni. Un’amica mi ha chiesto se facciano così perché sono ubriachi o perché il loro vero lavoro è contribuire all’immagine di Giorgia, e io non le ho saputo rispondere.

Non le ho saputo rispondere ma ho subito pensato a una delle categorie più stolide del presente, la seconda più ottusa della settimana dopo quella dei senatori di Italia Viva che alzano la palla sottorete a Giorgia Meloni acciocché la schiacci. Seconde classificate nel torneo «Giorgia governerà trecento anni», le femministe di Instagram. Quelle che direbbero che la mia amica chiama la Meloni «Giorgia» (e io le metto l’articolo determinativo) non perché è un marchio inconfondibile, non perché sebbene ci sia una Giorgia-e-basta cantante ormai Giorgia-e-basta, in assenza di specifiche, è la Meloni, ma perché vogliamo minare l’autorevolezza femminile. Come si fa a essere così cretine, direbbe una qualsivoglia persona normale. Ed ecco qui come.

Ovviamente, in risposta all’uscita sbarazzina del Borghi di Italia Viva, Enrico (uno che non sapevo esistesse ma che mi fa venir voglia di scrivere un articolo su Claudio Borghi solo per definirlo «il Borghi intelligente»), la presidenza del Consiglio dei Ministri fa un comunicato. Che, ovviamente, schiaccia la palla alzata sotto rete: «Almeno una volta all’anno, il Presidente ha il diritto di svolgere il suo ruolo più naturale, quello di madre».

Ora, può essere che io la Meloni la sovrainterpreti, ma mi piace immaginarla che, con un gatto in grembo, si sfrega soddisfatta le mani dicendo «mettiamoci “naturale” e poi stiamo a guardare mentre ci cascano». E infatti. Come sarebbe naturaleeee. È offensivo nei confronti delle steriliiii. E allora noi senza figli siamo contronaturaaaa.

Ora, benedette ragazze che una volta vi sareste dovute procacciare un lavoro vero e ora invece avete una sussistenza garantita facendo danni alla causa del femminismo presso ragazzine persino più inattrezzate e suggestionabili di voi, lasciate che vi spieghi un paio di cose.

Lasciate che ve le spieghi essendo nata quando in Italia neppure c’era ancora la 194, altro che sbraitare perché la pillola dovrebbe passarcela il servizio sanitario nazionale (ancora non esisteva neppure quello, e non è che io sia centenaria). Lasciate che ve le spieghi essendo nata quando la legge che permette il divorzio non aveva neppure due anni, ed essendomi quindi come voi trovata i diritti fatti da mamme e nonne, ma più freschi, e quindi non dandoli per scontati come fa la vostra sprovveduta generazione.

Diablo Cody, la sceneggiatrice di “Juno”, ha di recente scritto su Substack che è incredula di fronte al numero di ventenni che non hanno intenzione di procurarsi una carriera e competere nel mercato del lavoro: vogliono un uomo che le mantenga. L’incredulità di Cody è dovuta al fatto che quelle che nota prendere questo pericoloso abbrivio non sono mica le mogli tradizionali di cui leggiamo negli articoli di costume che riportano quel che vedono su TikTok, le conservatrici che vogliono vivere incinte e scalze bevendo latte non pastorizzato. Sono ragazze di sinistra che rifiutano la competizione e il capitalismo, ma avendo la bislacca idea che affidare la propria sussistenza alla generosità d’un uomo sia un’alternativa sensata.

Lo sa Cody, lo so io, lo sa chiunque osservi il mondo ma non voi, benedette ragazze che siete convinte di essere intellettuali e il mondo non lo capite neanche se vi facciamo un disegnino: c’è un mercato – e quindi un elettorato – per una che dice che il suo ruolo «più naturale» è quello di madre e non quello di capo del paese. E non finisce qui.

Lasciate che ve lo dica una che non solo non ha fatto figli, ma non li ha fatti senza sostituirli coi gatti o i cani, non li ha fatti senza passare il tempo a dire quanto ama i figli delle amiche altrimenti teme che la prendano per un’acida zitella, non li ha fatti quando non farli non era un posizionamento ideologico o una fonte di cuoricini e contratti di sponsorizzazione (esattamente come farli). Sì, lo so che Simone de Beauvoir diceva che le donne o fanno figli o fanno libri, ma quel che citazioni punto it non vi dice è che nell’interregno tra lei e me è esistita Natalia Ginzburg, e le donne possono benissimo fare figli e libri (i libri si scrivono da casa, non serve neanche il nido: semmai non possono fare figli e lavoro d’ufficio).

Lasciate che ve lo dica io che son della razza mia la prima a non essersi riprodotta: certo che quello di madre di Ginevra è per la Meloni il ruolo più naturale. Se non ci fosse persino adesso – adesso che siamo piene di anticoncezionali, adesso che le donne possono fare qualunque cosa più dilettevole e appagante che partorire, adesso che gli italiani spendono 325 miliardi di euro (mi sento male) ogni anno per cani e gatti – una parte di donne che ritiene naturale fare figli, gli umani si sarebbero estinti.

Non dico che sia un’ipotesi da scongiurare: non sono Elon Musk e non penso che siamo a rischio estinzione, anzi penso che siamo troppi sul pianeta e che prima la smettiamo con le campagne per la riproduzione perché sennò chi ce le paga le pensioni e prima si torna a star comodi. Dico che però così non è. La gente continua a riprodursi perché – ognuno ha i suoi gusti – continua a sembrarle naturale.

E continua ad apprezzare la Meloni perché le dice delle cose che pensa anche lei, non cose che sembrano giochini intellettuali irricevibili da una persona normale. Somiglia al lupo in quella vignetta del New Yorker in cui dice «vi mangerò tutte» e le pecore si dicono tra loro con ammirazione che non le manda a dire? Forse, però intanto ogni volta che le rompete i coglioni sulle sue vacanze con la figlia è come se le urlaste «è tua, Mimì» alzandole la palla sotto rete.

Schiacciando come la nazionale di Velasco (scusate, è quella volta l’anno in cui mi avventuro in similitudini sportive), lunedì sera la Meloni ha postato sui social una foto con la figlia (con la faccia pixelata, e di questa cosa di mettere in mostra i bambini facendo finta di non metterli in mostra un giorno dobbiamo parlare). Sotto ha scritto, tra le altre cose, «Ho regalato a mia figlia un fine settimana insieme all’estero per il suo compleanno».

Semplice, efficace, ricevibile dall’elettorato tutto quanto Filumena Marturano che dice a Domenico Soriano «i figli so’ figli». Valentina Desalvo ha scritto, della vittoria della nazionale femminile ai mondiali di pallavolo, «che l’Italia si è buttata alle spalle l’età dell’incoscienza. Che è non solo grande ma coraggiosamente adulta». Se non si sbriga a diventare coraggiosamente adulto anche il dibattito pubblico a sinistra, se non abbandona l’età dell’incoscienza dei cuoricini di Instagram, temo che il governo dei trecento anni di Giorgia Meloni smetterà d’essere iperbole comica e diventerà mesta cronaca.