Ecco chi c’è dietro le manifestazioni
(Stefano Montefiori, da Parigi) Durante l’estate la parola d’ordine era «il 10 settembre Bayrou se ne deve andare», l’ambizione era punire il premier che osava chiedere ai francesi di lavorare di più, persino il giorno di Pasquetta, rafforzando la rabbia di chi è convinto che a pagare per i dissesti finanziari siano sempre i soliti.
Ma Bayrou se n’è già andato da solo, lunedì sera, con lo schiaffo ricevuto all’Assemblea nazionale e le dimissioni rassegnate ieri all’Eliseo. E allora, per che cosa manifesta oggi il popolo del bloquons tout, «blocchiamo tutto»?
Imploso il governo Bayrou, non c’è stato il tempo di preparare nuovi striscioni anti-Lecornu, il nuovo premier incaricato. Ma basta alzare la mira e puntare al bersaglio grosso, il solito presidente della Repubblica, come del resto accade dalla rivolta dei gilet gialli, nel 2018, passando per gli scioperi dei ferrovieri e le proteste contro la riforma delle pensioni: Macron démission è l’invocazione più appassionata, declinata anche nella variante Macron destitution, in omaggio alla nuova mozione di destituzione presentata dalla sinistra radicale. Una mozione che non ha alcuna possibilità di essere approvata, come del resto la precedente mesi fa, ma serve ad alimentare quel clima, tra fine regno e pre-insurrezione delle masse, che è il territorio politico di Jean-Luc Mélenchon.
Il leader della France Insoumise si è intestato una protesta nata prima dell’estate negli ambienti semmai dell’estrema destra sovranista, pro-Frexit e no vax, tra nazionalismo e ammirazione per il comico Coluche, l’antesignano di Beppe Grillo, che parlava di candidarsi alle elezioni presidenziali prima di morire nel 1986 in un incidente stradale diventato nei decenni uno dei miti fondatori del complottismo francese anti élite.
I francesi che oggi hanno già iniziato a bloccare autostrade e tangenziali, treni e ospedali, in una riedizione — con molte differenze — dei gilet gialli, vedono in Coluche l’ispiratore, resuscitato nei video grazie all’intelligenza artificiale, e in Macron il simbolo di un sistema da abbattere, per una rinascita di una Francia che faccia a meno di questi partiti, questi sindacati, questa classe dirigente.
Ma i capi? Chi guida la protesta? Non c’è davvero un leader, come non c’era nel 2018 ai tempi dei gilet gialli, che comunque videro presto emergere alcune figure riconoscibili come Cristophe Chalençon (quello incontrato dal ministro Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista nella missione che fece infuriare Parigi) o Jérôme Rodrigues, il manifestante che perse un occhio durante la repressione poliziesca e oggi torna in campo.
Se i gilet gialli sono nati su Facebook, il movimento del «blocchiamo tutto» ha preso le mosse prima dell’estate su Telegram grazie all’attivismo di un gruppo online chiamato Les Essentiels, e all’imprenditore Julien Marissiaux. Padre di famiglia, gestore di un caffè associativo nel Nord, Marissiaux dice che «oggi in Francia la gente soffre, grida. Alcuni devono scegliere tra riscaldarsi e mangiare. Vogliamo mettere fine a questo sistema, dimostrare che esistiamo, come fecero i gilet gialli. Stiamo cercando di ricreare quelle condizioni».
Ma secondo la ricerca di Antoine Bristielle per la Fondation Jean-Jaurès, meno di un terzo delle persone che oggi scenderanno in piazza hanno partecipato ai gilet gialli.
I bloquons tout sono più giovani e più diplomati. E se i gilet gialli erano tanti pensionati trasversali e poco politicizzati, i «blocchiamo tutto» sembrano ormai in prevalenza di sinistra radicale: Mélenchon è riuscito a impossessarsi del movimento.
Se Marine Le Pen non nega il suo appoggio ideale, il Rassemblement national è un partito ormai legge e ordine che teme eccessi, incidenti e non ama il movimentismo preferendo le urne. Mélenchon invece punta tutto sulla piazza: il suo destino politico, più ancora di quello di Macron, dipende molto dal successo o meno della mobilitazione di oggi.