Ai reiterati inviti ad accettare l’accordo per un cessate il fuoco, formalmente rivolti da Donald Trump a entrambe le parti, è seguito ieri l’attacco di Israele alla stessa delegazione di Hamas che in Qatar avrebbe dovuto esaminare la proposta. La reazione americana è stata affidata a un flebile comunicato: «Bombardare unilateralmente in Qatar, una nazione sovrana e stretta alleata degli Stati Uniti che sta lavorando duramente e correndo coraggiosamente dei rischi assieme a noi per raggiungere la pace, non promuove gli obiettivi di Israele o dell’America». Per poi aggiungere pure: «Eliminare Hamas, che ha tratto profitto dalla miseria degli abitanti di Gaza, è un giusto obiettivo».
Un po’ come accade in Ucraina, dove gli inviti di Trump alla trattativa sono regolarmente seguiti da bombardamenti russi sempre più feroci, senza nessuna conseguenza apprezzabile, almeno finora. Il che dimostra una volta di più l’inconsistenza della famosa diplomazia trumpiana, o per meglio dire la sua inesistenza, trattandosi a tutti gli effetti di puro teatro, un’invenzione propagandistica destituita del minimo fondamento, tanto in Medio Oriente quanto in Ucraina.
Resta da capire semmai fino a quando Trump e gli altri sostenitori di Benjamin Netanyahu, in pratica tutta l’allegra famiglia sovranista e nazional-populista, da Viktor Orbán in Ungheria all’intero governo italiano, potranno continuare a dargli man forte senza pagare alcun prezzo. Fino a quando cioè l’affinità ideologica, la solidarietà personale e anche la diretta complicità (almeno nel caso degli Stati Uniti) con quello che appare oggi uno dei leader più impopolari del mondo – fuori da Israele, s’intende, ma forse anche dentro – non intaccherà seriamente i loro consensi.
Finora non mi pare che sia accaduto, sicuramente non in misura proporzionale alla crescente indignazione suscitata nel mondo dal comportamento del governo israeliano. Il guaio è che tutto questo forse non lo pagherà la destra, perlomeno in Italia – per qualche strana ragione il fascista italiano tende a indignarsi moltissimo vedendo i fascisti israeliani comportarsi da fascisti con i palestinesi, però non fino al punto da togliere il voto ai loro più convinti alleati e sostenitori di casa nostra – ma di sicuro, in un senso più largo, lo pagheremo noi.
L’inarrestabile discesa di Israele nella barbarie rende infatti sempre più difficile, almeno per chiunque non sia completamente accecato dalla faziosità, insistere nel difendere distinzioni, linee di confine e questioni di principio che l’entità dei massacri e la protervia degli atti e delle dichiarazioni ufficiali ha praticamente incenerito.
Dall’uso del termine genocidio all’equiparazione della guerra di Gaza al conflitto in Ucraina, tutte le provocazioni e le distorsioni più spudorate sono state via via legittimate, ex post, dalla condotta del governo israeliano. Fino al punto da costringere di fatto al silenzio chiunque non volesse rendersene complice, anche di fronte al trionfo, nel dibattito pubblico, di argomentazioni e personaggi a dir poco ambigui nei confronti di Hamas, del terrorismo islamista e dei regimi arabi.
Alla catastrofe umanitaria in Medio Oriente si accompagnerà così pure la catastrofe politica e civile in occidente, dove c’è da aspettarsi che l’antisemitismo, per troppo tempo usato strumentalmente per delegittimare ogni critica, non solo non sarà più un tabù, ammesso che lo sia ancora, ma finirà per diventare motivo di vanto e segno di distinzione.
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