Il Mossad, lo Shin Bet e le forze armate israeliane hanno fatto partire la caccia da subito, dal giorno dopo il 7 ottobre 2023. Benjamin Netanyahu era stato chiaro: dopo quell’attacco, tutta la leadership di Hamas doveva essere eliminata. E questo piano prevedeva non solo la decapitazione della milizia a Gaza, ma anche di quella in “esilio” a Doha. Per qualcuno di loro, Israele ha aspettato che uscisse dal Qatar. Su tutti il leader politico di Hamas, Ismail Hanyeh, ucciso mentre si trovava a Teheran. Ma erano mesi che lo Stato ebraico preparava l’omicidio del resto della leadership del gruppo, anche di chi si trovava sulle rive del Golfo. Israele ha aspettato che la maggior parte di loro si trovasse nello stesso luogo mentre erano in corso i negoziati su Gaza. Nomi di spicco. Gangli fondamentali di quella macchina complessa e tentacolare che Hamas ha costruito nel corso degli anni.

LA LISTA

Il primo obiettivo era Khaled Mashaal, capo della milizia all’estero, tra i più influenti leader del gruppo e spesso considerato un rivale interno della linea filoiraniana. L’altro “target” era Khalil al-Hayya, leader “ad interim” di Hamas, colui che è responsabile per Gaza, anche se i miliziani della Striscia ormai agiscono in maniera quasi autonoma, e ritenuto un uomo di Teheran all’interno dell’organizzazione. Un altro “papavero” obiettivo del raid era Nizar Awdallah, spina nel fianco di Yahya Sinwar alle elezioni interne del 2021 e che, anni prima, era stato il ponte con Israele per mediare la liberazione del soldato Gilad Shalit. Secondo i media era presente nel luogo dell’attacco anche Zaher Jabarin, il “cervello economico” del gruppo, uomo-chiave nei rapporti tra la milizia con l’Iran e vertice di Hamas in Cisgiordania. Un elemento centrale della nuova strategia de gruppo palestinese, visto che la West Bank, in questi mesi, sta assumendo un ruolo sempre più importante negli equilibri regionali, E la rivendicazione dell’attentato a Gerusalemme ha confermato anche il crescente potere di Hamas su quello che un tempo era il “regno” di Fatah. Insieme a loro, a Doha c’era anche Muhammad Ismail Darwish, a capo del Consiglio della Shura, organo fondamentale di governo della milizia insieme all’Ufficio politico. Dopo la morte di Haniyeh, si vociferava che fosse lui il prescelto per guidare la milizia prima che venisse scelto Sinwar. E secondo diversi media, nel summit centrato dai missili dell’Idf vi sarebbero stati anche Taher al Nuno, Husam Badran e Musa Abu Marzouk.

L’OPERAZIONE

Nelle ore successive all’attacco, la milizia ha evitato di confermare qualsiasi morte eccellente. Da alcune fonti dei media arabi, era filtrata la notizia dell’uccisione di Meshaal e al-Hayya, poi smentita dal gruppo. Secondo Hamas,i morti sarebbero sei. Uno è Himam al-Hayya, figlio di Khalil. L’altro è Jihad Labad, capo dell’ufficio di al-Hayya. Gli altri tre sarebbero funzionari di livello più basso: Abdullah Abu Khalil, Moamen Abu Omar e Ahmad Abu Malek. Uno è un agente della sicurezza qatariota. E da Hamas il commento è stato lapidario: «Il nemico non è stato capace di assassinare i nostri fratelli».


© RIPRODUZIONE RISERVATA

Il punto sui temi di attualità, ogni lunedì
Iscriviti e ricevi le notizie via email