Quando, nel 2015 il Frammento Vaticano di Giotto venne esposto per la prima volta nella mostra “Giotto, l’Italia” allestita a Milano, se ne era auspicato il restauro. A distanza di dieci anni tale auspicio si è avverato e questo lacerto giottesco, di un’importanza somma sul piano artistico, storico e antiquario, oggi si presenta in condizioni di lettura assolutamente migliori di quanto non fosse anteriormente all’intervento, operato dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze da Alberto Felici, e diretto, per gli aspetti storico-artistici, da Cecilia Frosinini.

Una storia significativa

Ma di che si parla? Il Frammento Vaticano è noto soltanto ai più incalliti conoscitori dell’arte del grande pittore e quasi del tutto ignoto al pubblico grosso perché, a prescindere dall’episodio effimero della mostra milanese del 2015, è custodito in mani private (e beate) da secoli, al pari di altre opere d’arte antica provenienti da smembramenti e demolizioni. In origine faceva parte della decorazione muraria della basilica di San Pietro, in un ciclo di affreschi non più esistente, sopravvissuto ai radicali lavori di ammodernamento realizzati fra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo.

Il frammento raffigura due santi o apostoli a mezzo busto (41×46 centimetri), non identificabili per l’assenza di specifici attributi, e fu staccato dalla sua sede nei primissimi anni del Seicento, indi donato a Pietro Strozzi, segretario del pontefice Paolo V e canonico di San Pietro, poi passato a Matteo Caccini fiorentino, che si premurò di esporlo per la «venerazione dei fedeli». I tratti della sua breve e significativa storia sono attestati da una scritta che compare a tergo, sotto lo stemma della famiglia Caccini, dove compaiono due leoni rampanti campiti in rosso.

Giotto, Due teste di apostoli o santi (cosiddetto “Frammento Vaticano”), Collezione privata, dopo il restauro, versoGiotto, Due teste di apostoli o santi (cosiddetto Frammento Vaticano), Collezione privata, dopo il restauro, verso (clicca per ingrandire)

L’enigma della collocazione

L’enigma che ha acuito le indagini degli studiosi concerne la collocazione originaria del frammento. Raffigurando due santi, è immediato ipotizzare che costoro non fossero isolati, bensì sfilassero in una folta teoria, che scorreva nel complesso di affreschi giotteschi perduti. Loro si salvarono forse perché erano quelli meno conciati.

Circa l’ubicazione di tali affreschi le congetture si moltiplicano. Sulla base di fonti e antiche descrizioni è plausibile che la decorazione petrina si estendesse nell’abside o nella tribuna. Tutto comunque concorre all’ipotesi che il cantiere guidato da Giotto fosse «d’importanza e dimensioni straordinarie». In tal senso il lacerto dei due santi, databile tra il 1315 e il 1320, è da considerarsi più che un dipinto una reliquia.

Il Frammento Vaticano di Giotto come appare dopo il restauro (a sinistra) e com’era prima dell’intervento (clicca per ingrandire)

Un restauro riuscito

Il recentissimo restauro ci consente di ammirare questa bellissima opera dal vero, nel museo dell’Opificio delle Pietre Dure (sino al primo novembre), Firenze. Già in fase di pulitura, che ha rimosso vecchie vernici e altre brutture, è riapparsa una cromia smagliante, come l’azzurro della veste del santo di destra, e lo splendore delle aureole d’oro. Quando riaffiorano i colori originali il cuore del restauratore batte più forte.

Le espressioni dei volti dei due ignoti si è rinvigorita, mentre prima s’era ammosciata e ottusa. Espressioni diverse che caratterizzano le figure in pose articolate, l’una di profilo, l’altra di fronte, di uno schietto realismo, tale da invogliare a una ricostruzione immaginaria anche delle fisionomie e dei caratteri degli altri compagni mancanti del gruppo distrutto: apostoli e santi decimati, ma, grazie ai superstiti, sostanzialmente invitti.

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“Sulle tracce di Giotto a Roma: il Frammento Vaticano”, Firenze, Museo dell’Opificio delle Pietre Dure, sino all’1 novembre. Info e prenotazioni qui.