di
Paola Di Caro
Il ministro della Difesa: «L’aumento delle spese per la difesa è una necessità. Da anni c’è un attacco imponente con fake news per influenzare le opinioni pubbliche»
Le parole di Sergio Mattarella — «Siamo su un crinale come nel 1914» — non lo hanno sorpreso. Guido Crosetto commenta: «Il Presidente si è limitato a descrivere quello che sta succedendo: un mondo che sta impazzendo. Ci sono azioni e decisioni di leader che ricordano i peggiori momenti dell’umanità e questo dato di fatto chiaramente preoccupa lui come tutti noi». Tanto più il ministro della Difesa, che non ha mai sottovalutato i rischi di un equilibrio delicatissimo e che avverte: «In qualche modo noi siamo già in guerra. E dovremmo reagire». Non parla di armi convenzionali ma di una «guerra ibrida» in corso da molto tempo fatta di «disinformazione, attacchi hacker, intrusioni, manipolazione dell’opinione pubblica, spionaggio tecnologico. È ora di intervenire».
Cominciamo dal primo fronte di guerra. I droni penetrati in territorio europeo, in Polonia: un errore o qualcosa di più preoccupante?
«È un fatto nuovo e rilevante. Non c’era mai stata un’incursione armata in territorio europeo e/o occidentale/Nato, di armi russe. Una ventina di droni non sono paragonabili a un attacco come quelli che subisce ogni giorno l’Ucraina, ma non sono nemmeno una delle tante esercitazioni militari o un semplice errore. È stato un mix tra una provocazione e un test su quale realistica potenza di penetrazione avessero queste armi e su come noi avremmo reagito. La risposta della Polonia e della Nato c’è stata ed è stata efficace. Ora è il momento della riflessione e di capire come agire in futuro».
E come si reagisce?
«Intanto comprendendo, una volta per tutte, che se questo è stato un attacco fisico di portata limitata, ce n’è un altro, più imponente, che va avanti da anni: la disinformazione, le fake news per influenzare le opinioni pubbliche, gli attacchi degli hacker, che sono ormai quotidiani. Siamo già in guerra e lo siamo già in un mondo che non si vede, ma dove si può, volendo, mettere in ginocchio una nazione. La disinformazione di Stato è ormai una prassi anche in Russia dove la gente pensa che i loro militari morti sul fronte ucraino siano poche migliaia, quando invece sono un milione. Noi sembriamo ignorare quanto la guerra ibrida sia pericolosa».
APPROFONDISCI CON IL PODCAST
Lei cosa propone?
«Va avviata una riflessione seria. Lo farò presto nel governo prima e poi con il Parlamento. Se non si reagisce, si soccombe. Si deve bloccare chi attacca anche, se serve, restituendo l’attacco».
Dobbiamo lanciare una guerra ibrida anche noi?
«Intanto, dobbiamo bloccare tutti gli attacchi che si possono identificare. Servono cornici normative e legali che consentano, se un attacco viene intercettato ed individuato, di colpire con le stesse modalità chi lo ha prodotto».
E in Polonia, che fare?
«Dobbiamo prepararci a qualsiasi tipo di attacco, non solo in Polonia. Di questo si parla quando si discute di investimenti in difesa: la messa in sicurezza dei nostri territori e dei nostri cittadini».
Parte del Paese e di maggioranza non vorrebbero…
«Non è una scelta facoltativa. Anche la Spagna, checché se ne dica, è impegnata ad arrivare al 3,5% del Pil per le spese Nato entro il 2035. Ma noi lo facciamo anche con una logica più ampia».
Quale?
«Né io, né Giorgetti, né la premier siamo sprovveduti. La nostra linea è investire in maniera tale da avere ricadute sul Pil interno, usando la capacità produttiva italiana, e utilizzare la tecnologia militare anche per far crescere quella che può trovare applicazioni civili. Un esempio: se lavoro sugli elicotteri Agusta per uso militare, contemporaneamente ne favorisco l’eccellenza anche per le produzioni civili».
Sono comunque tantissimi soldi.
«Ma nessuno pensa di arrivare al 3,5% domani, parliamo del 2035. Se il centrosinistra dovesse vincere le prossime elezioni, se lo gestiranno loro e vedremo cosa faranno. Comunque, il punto è un altro».
Quale?
«Oggi affrontiamo l’emergenza di due conflitti con implicazioni internazionali gravi, qualcosa che, solo fino a qualche anno fa, non esisteva neppure in teoria. La speranza e la volontà è che presto si arrivi a una pace e che la necessità di riarmo e rafforzamento diventi meno cogente. Non è necessariamente un’escalation senza fine. Facciamo di tutto perché non lo sia e quindi consideriamo le spese della difesa in aumento finché non sarà possibile e logico diminuirle. L’aumento non è un obbligo stabilito in modo perenne, ma una necessità dei tempi in cui viviamo».
Ma non si vedono progressi su nessuno dei due fronti.
«Perché la verità è solo una: la pace dipende da due persone. Putin per l’Ucraina e Netanyahu, con il suo governo, in Israele. Hanno loro la possibilità di chiudere le ostilità o di trascinarle a lungo».
Si pensava che Trump potesse fare di più.
«Come abbiamo visto anche nell’attacco in Qatar, Trump può esercitare una sua moral suasion su Israele, ma alla fine le loro decisioni sono indipendenti. Così come sulla Russia speriamo che altrettanta moral suasion la faccia Xi Jinping. Ma sono loro due che guidano i due fronti di guerra».
Intanto Vannacci e una parte della Lega apprezzano più Putin che Zelensky.
«Ognuno può dare i giudizi che vuole, ma al di là delle parole io sono il ministro della Difesa e a me spetta non dare patenti di simpatia ma difendere il mio Paese da qualunque attacco e da chiunque arrivi. Ciò detto, Putin sarà pure “simpatico” perché a Mosca si vive meglio che a Kiev, ma questo avviene solo perché lì non cadono bombe ogni giorno sulla testa della gente, come in Ucraina».
Von der Leyen nel suo discorso poteva andare oltre?
«No, non poteva, perché l’Europa non è uno Stato federale, non ha una politica estera né una difesa comune. Von der Leyen vorrebbe avere un ruolo maggiore, ma il peso politico lo hanno le singole nazioni, rebus sic stantibus i trattati Ue e le singole costituzioni nazionali».
Intanto negli Usa uccidono il pupillo di Trump, Kirk: la preoccupano questi fatti?
«Moltissimo: c’è troppa gente che pensa di poter dire tutto quello che pensa, gettando benzina sul fuoco in momenti delicatissimi, alcuni perché protetti in Aula dall’immunità parlamentare che consente, come accaduto ieri, di offendere dicendo qualunque falsità. Dovremmo tutti avere un senso di responsabilità molto alto: l’avversario non è un nemico. Chi semina vento raccoglie tempesta».
Vai a tutte le notizie di Roma
Iscriviti alla newsletter di Corriere Roma
12 settembre 2025 ( modifica il 12 settembre 2025 | 08:37)
© RIPRODUZIONE RISERVATA