Grande emozione, all’inaugurazione della mostra “Armodio – Geometrie magiche e atmosfere rinascimentali” alla Camera dei deputati – Sala del Cenacolo, Sala della Sacrestia, Complesso di Vicolo Valdina (in via Campo Marzio, 42 fino al 19 settembre, dal lunedì al venerdì dalle 11 alle 19.30, ultimo ingresso alle 19) – a Roma.
Questa mostra, ha esordito la curatrice Silvia Bonomini accogliendo gli ospiti e le autorità (tra loro, il Ministro piacentino Tommaso Foti), vuole essere «un omaggio ad un Maestro che con la sua arte ha contribuito a diffondere nel mondo l’immagine più autentica della cultura italiana. Siamo in un luogo che non è solo spazio espositivo, ma simbolo della nostra storia civile, della cultura come fondamento della vita pubblica. Qui l’arte incontra il pensiero e diventa parte viva della nostra identità collettiva».
L’esposizione è anche un invito a entrare nel mondo del celebre artista piacentino Armodio (all’anagrafe Wilmore Schenardi), che proprio a Roma negli anni ‘60 iniziò la sua carriera pittorica nella storica Galleria dell’Obelisco (1946-1981 Foppiani, Klimt, Savinio, Balla…).
Armodio e la curatrice Silvia Bonomini accanto a un’opera
«Lo stile di Armodio è inconfondibile, è fatto di silenzio, misura e contemplazione – ha proseguito la curatrice -. La sua pittura non offre spiegazioni immediate. Armodio costruisce enigmi visivi. I suoi quadri non gridano: sussurrano. Non chiedono di essere interpretati, ma abitati».
Nel titolo dell’esposizione, il cui catalogo vanta la prefazione del Ministro della cultura Alessandro Giuli, ritroviamo due chiavi per comprendere il lavoro di Armodio: la precisione matematica (geometrie magiche), con uno spazio costruito su proporzioni invisibili dove è ben presente la sezione aurea, e la tradizione rinascimentale (atmosfere rinascimentali), con la tempera su tavola, gli echi di Piero della Francesca, di Cennino Cennini e di Leon Battista Alberti.
Ma Armodio – precisa Silvia Bonomini – non è un artista del passato. «Nelle sue opere si respira anche l’aria della Metafisica, il silenzio del Realismo Magico, la sottile ironia filosofica che si nutre di paradossi e misteri. Ogni quadro diventa così una soglia tra antico e contemporaneo, tra pensiero e poesia. Prendiamo ad esempio l’opera “Lex” (un’opera che può essere emblematica per questo luogo istituzionale): un manto bianco che si erge come sentinella. È la legge, non come guida, ma come fantasma. Un corpo svuotato, trattenuto da fili invisibili. Simone Weil scriveva che “la legge è impersonale, e perciò può diventare disumana”. Armodio sembra dirci che, quando la legge perde il contatto con l’umano, resta soltanto un involucro vuoto, un simulacro», prosegue la curatrice, passando in rassegna i dipinti esposti mentre i visitatori si soffermano, con lo sguardo e poi avvicinandosi, sulle singole opere.
«In “Casa che brucia”, vediamo un incendio senza fiamme. È un fuoco interiore che ricorda i versi di Montale: “Brucia la luna nel campo, e il fumo brucia la casa. È il tempo che brucia e non passa”. Armodio dipinge il tempo che arde dentro di noi, senza consumarsi».
Dipinti in esposizione
E ancora: «In “Do Re Mi”, la pittura diventa musica silenziosa. Non ci sono strumenti, non ci sono note, eppure lo sguardo si trasforma in ascolto. Platone scriveva che “la musica dà anima all’universo, ali al pensiero”. Qui, gli oggetti diventano note visive e, se osservate con attenzione, possono mettersi a parlare. Ciò che colpisce in tutte queste opere è la capacità di Armodio di unire rigore e leggerezza. Nulla è lasciato al caso. Eppure, sotto questa perfezione formale, c’è sempre un filo di ironia, un sorriso nascosto. In questo senso, la sua pittura è anche filosofia visiva. Paul Valéry (filosofo francese) scriveva: “Non c’è pensiero senza forma, e non c’è forma senza pensiero”. Le opere di Armodio sembrano nate proprio da questa doppia esigenza: pensare visivamente, costruire poeticamente. Ecco perché i suoi quadri parlano al nostro tempo. Nel presente accelerato e rumoroso, essi ci restituiscono il valore della lentezza, della contemplazione, del silenzio. Come scriveva Italo Calvino nelle Lezioni americane: “Prendere la vita con leggerezza, che non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto”. È un invito che ritroviamo in ogni opera di Armodio: guardare il mondo dall’alto, con leggerezza e profondità insieme».
Infine in “Autunno”, che segna l’inizio di un nuovo percorso pittorico del pittore, quello dedicato alla natura morta, troviamo frammenti di vita fossilizzata:l’opera «ci parla della caducità ma anche della resurrezione delle forme» di ungarettiana memoria.
La mostra di Armodio non è dunque solo un percorso tra dipinti, ma un viaggio che ricorda che l’arte non è decorazione, ma esercizio spirituale, occasione di ascolto, pratica di umanità.