Non c’è neanche una vaga possibilità che sarà un concorrente in futuro?
«Difficilissimo».
Anche una relazione è un gioco di squadra: cosa rende forte il vostro «team»?
«Stiamo insieme da tanto tempo e ci conosciamo ormai alla perfezione. Non siamo la famiglia del Mulino Bianco. Siamo una famiglia normale con i momenti positivi, negativi, le discussioni. Ma credo che l’equilibrio sia fondamentale, come in tutte le cose. La nostra vera forza è capire i momenti belli e brutti l’uno dell’altra, venirsi incontro e assecondare certe decisioni».
State insieme da tanti anni, avete due figlie, ma non siete sposati. Oggi è una dinamica sempre più normale e diffusa ma, agli inizi, avrete ricevuto spesso la domanda: «Quando vi sposate?». Come avete vissuto quelle pressioni esterne?
«Della volontà degli altri sul nostro matrimonio non me n’è mai fregato nulla. Non è mai stato quello il problema: volersi sposare o non volersi sposare. Il mio è un problema di ansia. Mentre giocavo, per esempio, pensare all’organizzazione mi avrebbe stancato mentalmente. La gestione della nostra coppia, a prescindere, è sempre stata positiva. Forse anche grazie all’aiuto dei nostri amici, che ci hanno permesso di vivere diversi momenti in serenità. Ci siamo sempre sentiti e siamo due persone normali. Facciamo cose da persone normali e questa alla fine è la cosa più bella. La nostra famiglia ci ha tramandato questi valori e, solo rispettandoli, possiamo tramandarli a nostra volta alle nostre figlie».
Sul suo profilo Instagram condivide spesso i viaggi in famiglia. Qual è il posto che le è rimasto più nel cuore e perché?
«Negli ultimi anni abbiamo iniziato a fare viaggi un po’ più impegnativi. Anche noi ci chiedevamo, in vacanza, quale fosse stato il viaggio più bello finora. Thailandia, Messico e Namibia sono nella top 3. La Namibia è stata una bella scoperta. Faticosa ma… mi ha regalato paesaggi incredibili e le mie figlie mi hanno insegnato tanto. Hanno partecipato a tutte le avventure senza lamentarsi, anzi. Noi genitori, spesso, ci facciamo più problemi di loro».
Dopo il ritiro dal calcio giocato, l’abbiamo vista anche nei panni di commentatore sportivo. Com’è stato questo passaggio? Si sente a suo agio in quel ruolo? Come reagiva quando, invece, era lei a ricevere i commenti sulle sue prestazioni?
«Il passaggio, all’inizio, è stato un po’ imbarazzante. Da un momento all’altro ti trovi dall’altra parte, a fare interviste a giocatori con cui hai giocato o allenatori con cui hai vissuto esperienze e non sempre ti capita di trovarli dopo una vittoria. Però, ho visto da parte loro molta disponibilità nei miei confronti, come se capissero il mio momento. Da calciatore, quando ricevevo complimenti ovviamente faceva sempre piacere, le critiche meno. Però, riuscivo a capire io in primis quando avevo giocato male, mi preparavo alle critiche ed ero pronto ad accettarle».
Ha già ottenuto molto: una carriera, la famiglia, nuovi progetti. Ma c’è ancora un sogno nel cassetto che vorrebbe realizzare?
«Lavorativamente parlando, devo trovare ancora una vera posizione. Non sono quel giocatore che aveva già nella testa di fare l’allenatore o il direttore. Ci ho provato un anno alla Lazio, a fianco di Igli Tare. Mi ha fatto un periodo di scuola che valeva più di tante altre cose. Però non mi sono sentito pronto ed ero lontano dalla mia famiglia. Devo ancora trovare il mio nuovo obiettivo da raggiungere».