di
Maddalena Berbenni
Il processo per il duplice infanticidio di Pedrengo alle battute finali. Sei ore di discussione per la pm Esposito, che ritiene non debbano esserci sconti: «Mai segni di pentimento». La difesa contesta tutto e invoca l’assoluzione
«Per me l’importante è avere fatto tutto il possibile e sento che è così». Fuori dall’aula, quando ormai è pomeriggio inoltrato e lei ha chiuso un intervento di quasi sei ore, preparato su un’ottantina di pagine, la pm Maria Esposito ricaccia indietro la commozione che si è letta chiaramente un attimo prima, davanti alla Corte d’assise della giudice Patrizia Ingrascì (a latere Andrea Guadagnino). È quasi con le lacrime agli occhi che la pm chiede di condannare Monia Bortolotti all’ergastolo e a sei mesi di isolamento diurno per l’omicidio volontario dei suoi due figlioletti, Alice e Mattia Zorzi, di 4 e 2 mesi, morti il 15 novembre 2021 e il 25 ottobre 2022. Una richiesta dura, ma che in definitiva rispecchia quella convinzione che non ha mai vacillato negli inquirenti, dal momento dell’arresto, a novembre 2023. E cioè che la madre di Pedrengo, 29 anni, oggi ricoverata nella Rems di Castiglione delle Stiviere, abbia ucciso i suoi bambini perché incapace di reggere al loro pianto e allo stress di accudirli, e l’abbia fatto in maniera lucida, manipolando familiari e test psichiatrici, aggiustando versioni, depistando. Il tutto senza mostrare il minimo pentimento, motivo per cui non meriterebbe sconti.
La difesa: «Va assolta o prosciolta»
La Corte, con una giuria popolare in prevalenza al femminile, si esprimerà il 17 novembre dovendo valutare, sul fronte della difesa, le conclusioni opposte dell’avvocato Luca Bosisio, che invoca l’assoluzione per entrambe le morti, oppure il proscioglimento per vizio di mente, oppure ancora, in estremo subordine, il riconoscimento delle attenuanti generiche. Il legale usa un tono pacato ed è più conciso, ma non meno fermo e pronto a lanciare stilettate, come quando ritiene che la pm abbia unicamente valutato elementi a sfavore dell’imputata, mentre «l’accertamento della verità dovrebbe essere un caposaldo di ogni processo». Oppure quando mette in dubbio la professionalità del perito medico-legale Paolo Silvani, interpellato sulle cause della morte di Mattia.
Le due perizie da cui partiranno i giudici
Ecco, i giudici partiranno proprio dalle due perizie agli atti, sempre che in extremis, vista la delicatezza e «tecnicità» del processo, non ritengano necessari altri approfondimenti. Quella medico-legale, disposta dalla Corte stessa, conferma che Mattia morì per un’insufficienza respiratoria acuta da asfissia meccanica e dunque avalla la tesi dell’accusa, secondo cui la madre lo strinse tra le braccia fino a farlo soffocare. Quella psichiatrica, più spostata verso la difesa e acquisita dall’incidente probatorio, conclude per la totale incapacità di intendere e di volere di Bortolotti al momento dei fatti.
Le morti di Alice e Mattia e la personalità della madre
«Se non si vuole che il pianto di Alice e Mattia rimanga, ancora una volta, inascoltato e soffocato», la pm esorta la giuria a una lettura «attenta e organica» degli atti e ad affrontare questo «gravoso compito» con «la mente e il cuore liberi da quel sentimento umano e comprensibile di incredulità, generato dall’efferatezza e dalla percepita innaturalità» delle contestazioni. Parte dai numeri (ad esempio, i 34 neonati uccisi dalle madri tra il 2006 e il 2017, in Italia, secondo l’Istat) per dire che il fenomeno esiste. E sostiene che le vicende di Alice e Mattia impongano una «disamina indissolubilmente congiunta», il cui unico filo conduttore si snoda a partire dalla personalità di Bortolotti, «dalla sua evidente immaturità, dal suo modo di affrontare i problemi, nonché dal sentirsi inadeguata come madre».
La pm: nelle intercettazioni Monia si preoccupa solo delle accuse
Posto che l’autopsia e i dati forniti dal dispositivo che registrava i battiti del cuore di Mattia, «bimbo sanissimo», proverebbero la tesi della stretta mortale, la pm sostiene che lo schema mentale che portò al suo omicidio sia replicabile nel caso della sorellina, lei forse soffocata con un cuscino (nel suo caso l’autopsia non ha dato risposte). Dagli elementi raccolti dai carabinieri – intercettazioni dei familiari, cartelle cliniche, testimonianze -emergerebbe tutta la fatica nella gestione dei figli. La pm ricorda l’accesso al pronto soccorso per il «pianto inconsolabile» di Alice, il fatto che, a dispetto della diagnosi del medico del 118 secondo cui soffocò per un rigurgito, i suoi vestiti e la culla erano intonsi, che i cuscini che la madre disse in un secondo momento di averle messo vicino erano sul divano. Stigmatizza i vari cambi di versione anche sul bimbo (prima morto mentre era nel marsupio e lei lo cullava ballando, poi mentre si era assopita), «la freddezza e padronanza di sé» che emergerebbero dalle conversazioni intercettate, in cui prevale la preoccupazione per le indagini in corso e per i sospetti che la riguardavano su «qualsiasi sentimento di amore verso i figli e di dolore per la loro scomparsa», tanto da arrivare a definire la morte di Mattia una «patata bollente».
Le critiche alla perizia psichiatrica e il testo di Fornari
Sul vizio di mente, per la pm la perizia degli psichiatri Elvezio Pirfo e Patrizia De Rosa è attaccabile dal momento in cui si basa solo sul narrato di Bortolotti e non tiene conto né del contenuto delle intercettazioni né delle valutazioni fatte negli anni sulla ragazza, tutte concordanti nell’indicare la presenza di un disturbo di personalità (il suo consulente Sergio Monchieri precisa con prevalenti caratteristiche borderline) e una depressione per reazione, nulla di endogeno. Mai viene riscontrato il disturbo depressivo maggiore con sintomi psicotici congrui all’umore diagnosticato dai periti, «una patologia gravemente invalidante». La pm legge poi un testo di psichiatria forense di Ugo Fornari, del 2024, in cui viene descritto un quadro «del tutto sovrapponibile» a quello di Bortolotti. In sostanza, l’esperto spiega come, in assenza di vizio di mente, «la dinamica motivazionale che più frequentemente sottende alla condotta figlicida è da ricercarsi in un sentimento di inadeguatezza o di conflittualità verso la maternità, legato a un vissuto di deprivazione affettiva rispetto alla propria madre».
Bosisio: attenuanti da riconoscere anche solo per la sua infanzia
Bortolotti, cresciuta fino all’età di 2 anni in un orfanatrofio di Calcutta, ha avuto un pessimo rapporto con la madre adottiva, di Gazzaniga. «Ti rimando in India», le diceva quest’ultima quando la rimproverava, secondo una parente, ricorda l’avvocato Bosisio. A scuola, per il colore della sua pelle le davano della «scimmia». «Monia si è sentita abbandonata due volte, mi sembra un po’ esagerato ridurre ciò al niente», afferma il difensore, per il quale le andrebbero riconosciute le attenuanti generiche solo per la disgraziata infanzia. Dal suo punto di vista, inoltre, è «un ragionamento suggestivo con un sospetto retroattivo» quello che induce la pm a ritenerla colpevole anche della morte di Alice. Neanche per Mattia le cause sarebbero certe: per il suo consulente Bruno Casali, aveva problemi al cuore e di rigurgito e nel suo profilo genetico lo stesso medico legale individuò varianti rare, «il cui significato clinico oggi è sconosciuto».
I familiari assenti: «Hanno capito la sua situazione»
Come sempre, l’imputata non era in aula né i suoi familiari, l’ex compagno e padre dei bambini e i nonni, tutti parti offese. Hanno rinunciato a costituirsi parte civile perché, sottolinea il legale, si sono resi conto della sua condizione mentale. In ogni caso la «voce» di Bortolotti c’è, nelle 25 ore registrate nei 5 colloqui con gli psichiatri. I cambi di versione? «Nessuna strategia difensiva, è l’assoluta debolezza di Monia, che si interroga lei stessa sulle morti dei suoi neonati».
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13 settembre 2025 ( modifica il 13 settembre 2025 | 09:34)
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