Il re delle promozioni, ben 7 dalla B alla A, si racconta: “Amavo coprire le spalle ai compagni. Prima che arrivasse Cairo facevamo fatica ad allenarci”
Giornalista
13 settembre 2025 (modifica alle 10:31) – MILANO
Sette promozioni, quattro dalla B alla A, e una montagna di bei ricordi. Se guarda al suo passato da calciatore, Andrea Ardito sorride. L’attuale direttore tecnico dell’Alta Brianza lavora ogni giorno sul campo con i ragazzi del settore giovanile per migliorarli: la carriera da allenatore non è andata come sperava e adesso ha trovato la sua dimensione insegnando i fondamentali. “Anche se mi mancano il gruppo, l’empatia che si crea lavorando insieme e il cercare di infondere le proprie idee calcistiche alla squadra — ha ammesso —, mi piace dare un consiglio a un ragazzo su come eseguire un gesto tecnico e vedere che poi riesce a farlo nel modo giusto. Mi permette di tornare a casa contento”.
Ardito, qual è il segreto per vincere così tanti campionati?
“Capitare nel posto giusto al momento giusto. Ciò premesso, io le promozioni le ho sempre fatte da protagonista e mettevo sempre il bene della squadra davanti al mio. In carriera ho segnato solo 4 gol: probabilmente non sarei arrivato a 100 neppure se fossi stato più egoista, ma il mio primo pensiero è sempre stato alla fase difensiva. Sapevo che ero in campo per non far ripartire gli avversari, per recuperare il pallone, per coprire le spalle ai compagni. Perché quelle erano cose fondamentali per vincere e non mi tiravo indietro. Poi ho avuto la fortuna di capitare in gruppi “giusti”, con compagni eccezionali”.
Quali sono le promozioni che ricorda più volentieri?
“La prima, ottenuta con il Como nello spareggio contro il Livorno: era il 17 giugno 2001, il giorno del patrono di Pisa, la mia città natale. Capite senza spiegazioni perché ha avuto un valore speciale. La seconda è quella con il Torino, nel doppio spareggio contro il Mantova nel 2006. La stagione era iniziata malissimo, dopo il fallimento del Toro e la retrocessione in Serie B: io ero arrivato con i “lodisti” (chi usufruì del lodo Petrucci, ndr) e fui confermato quando Cairo prese la società”.
A vent’anni di distanza ricorda ancora bene quella stagione?
“Ero reduce dall’esperienza al Siena, dove mi ero rotto il crociato e poi un metatarso in uno scontro con De Rossi. Avevo scelto il Toro per ripartire perché mi avevano voluto il ds Michele Padovano, che aveva giocato con me a Como, e i “lodisti” Marengo e Giovannone, che erano i proprietari della rinata società. Quando Cairo acquistò da loro il 100% del club, non era scontato che fossi confermato”.
Cosa ricorda di quel periodo?
(sorride) “Che c’erano pochissimi palloni, del tutto insufficienti per allenarci. Tutto era stato fatto un po’ velocemente. In più la gente voleva che Cairo diventasse proprietario e un paio di volte non ci fecero allenare per protesta. Un po’ di tensione c’era, ma un giorno ci arrivò il video di Cairo in Comune che aveva firmato l’acquisto e da allora la situazione cambiò”.
Era inizio settembre e le altre squadre erano già pronte per il via del campionato mentre voi…
“Cairo il primo giorno venne da noi e ci fece un discorso sul valore di indossare la maglia del Torino e su cosa vuol dire cuore Toro. Ci spiegò che voleva provare a vincere il campionato nonostante nessuna società che aveva usufruito del lodo Petrucci ci fosse mai riuscita al primo tentativo”.
Il giorno prima di tornare in A i tifosi ci dissero: “Voi pensate solo a dare tutto, poi vi spingiamo noi”
Ma la rosa era da costruire…
“Vero, però l’entusiasmo era contagioso e ogni giorno arrivavano 3-4 giocatori nuovi. Muzzi si aggregò alla prima di campionato contro l’Albinoleffe: ci conosceva appena, eppure lottavamo tutti insieme”.
Merito anche di Gianni De Biasi.
“Era l’allenatore giusto e noi lo abbiamo seguito. Alla fine del girone d’andata eravamo primi, ma poi tra gennaio e febbraio siamo stati quasi due mesi senza vincere. Il gruppo era composto da uomini veri e nessuno ha mai smesso di credere all’obiettivo”.
La spinta dei tifosi era pazzesca.
“La gente era sempre al campo e in ogni occasione ci faceva capire quanto era importante vincere quel campionato di Serie B. Il giorno dell’esordio contro l’Albinoleffe è stato incredibile: Cairo fece il giro di campo prima del match e 30.000 persone ci trascinarono alla vittoria”.
Com’era Cairo alla prima esperienza da presidente?
“Un gran presidente. Seguiva la squadra e investiva tanto. Ci faceva sentire la vicinanza della società”.
Il traguardo lo avete tagliato nello spareggio contro il Mantova.
“Fu tutto meno che facile visto che il giovedì, nella partita d’andata, perdemmo per 4-2 e al ritorno dovevamo vincere con due reti di scarto. Il giorno prima si presentarono 2.000 tifosi e ci caricarono chiedendoci solo di dare l’anima, perché loro ci avrebbero spinti alla vittoria. Fu proprio così: se ripenso al tifo di quello spareggio, concluso dopo i tempi supplementari, mi vengono ancora i brividi. I giocatori del Mantova lo subirono molto”.
Quattro delle squadre con cui ha conquistato la promozione, adesso sono in Serie A: Torino, Como, Bologna e Lecce.
“Manca il Siena… Il Como in questo momento è la società più in espansione al mondo. Il Bologna si è posizionato nella parte sinistra della classifica grazie a Saputo e al lavoro di Sartori. Il Lecce ha stabilito il suo record consecutivo di salvezze e può restare in A. Il Toro ha un allenatore nuovo e un modo di giocare diverso: contro l’Inter ha fatto male, ma contro la Fiorentina ho visto che i giocatori hanno messo lo spirito giusto”.
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