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Sorpresa: a una settimana dall’uscita, Cuore rotto, il pezzo del ritorno di Tiziano Ferro, è il più trasmesso dalle radio. Se si toglie Feeling (2024) con Elodie, era dal 2022 che non succedeva, con La vita splendida. Si vedrà – deve ancora montare la marea dei singoli autunnale – se è un fuoco di paglia, come nel caso appunto di La vita splendida, o se sarà una rinascita. Ferro ambisce a quella: negli ultimi mesi ha fatto tabula rasa, nuova etichetta discografica, Sugar, e nuova manager, Paola Zukar, la stessa di Marracash, Madame e Fabri Fibra. Serve una svolta, perché – non ci giriamo intorno – nell’ultimo decennio la sua carriera si è inabissata: l’ha ammesso a corrente alternata lui stesso, a fronte di un passato di gloria – e che ancora batte cassa, perché i classici tirano e dal vivo riempie gli stadi – nel presente ne ha azzeccate poche, fermo al successo di Potremmo ritornare (2016), comunque inferiore a quello dell’età dell’oro.
Tutti i problemi di Ferro
Giusto qualche titolo: Sere nere, Ti scatterò una foto, Xdono, Non me lo so spiegare, Alla mia età, Indietro, Ed ero contentissimo, Il regalo più grande. Tutti i grandi pezzi di Ferro risalgono ai primi quattro album, dal 2001 al 2009, poi poco o niente. È difficile, chiaramente, dire quali siano stati i fattori dietro questo calo: in senso assoluto, l’impressione è che l’ispirazione – il famigerato “tocco magico” – sia finita; in più, si nota un rapporto più squilibrato tra musica e problemi personali, con la prima che, fino al 2009, catalizzava tutto quanto, mentre ora Ferro ha cominciato a raccontare le proprie difficoltà – il peso, alcolismo, ma anche il divorzio – con libri, documentari e quant’altro, lasciando ai brani un aspetto più generico e meno sentito. Ed è stato lì, quando i suoi pezzi hanno smesso di essere così cantanti “di cuore”, così intensi, che la fiammella si è spenta.
Per carità, dicevamo, il repertorio c’è. Il problema è un altro: che Ferro è nato nel 1980, e se è vero che capita a tanti di mollare la presa prima o poi, ecco, qui è successo troppo presto, a neanche quarant’anni. Da un lato, questo gli ha precluso le nuove generazioni. Dall’altro, l’idea più o meno veritiera che come autore sia “finito” non gli fa onore e rischia, in parte, di rovinare quanto di buono seminato finora, ed è tanto. Serve rilanciarsi, ma non tutte le scelte, anche qui, hanno brillato: Feeling, con Elodie, a livello radiofonico è stata un bel successo, ma l’ha ridotto a sparring partner di una popstar, lei davvero, sì, in pieno lancio, per di più in una hit qualunque; lì per lì ha funzionato, ma non ha aggiunto niente – né una svolta percepita, né una rinascita, né un ritorno alle origini – all’immagine che il pubblico già aveva di Ferro. Una volta che il pezzo ha smesso di girare si è tornati alla casella di partenza.
Dove può arrivare nel 2026
Tutti gli indizi fanno pensare che Cuore rotto – due minuti e mezzo senza infamia e senza lode, in cui dice che questa è la “canzone più triste che ho scritto”, anche se non si direbbe – sia una sorta di pop mischiato all’r&b da servire come antipasto in vista del prossimo Festival di Sanremo, dove la sua partecipazione in gara è assai probabile. Sembra possa presentarsi proprio con Madame, ma anche lì l’operazione, nel caso, andrebbe gestita con cura: Ferro avrebbe bisogno di una mossa che lo renda perlomeno “protagonista”, anche più di Madame, ma soprattutto non può – ed è stato l’errore più grande che ha commesso finora – mettersi a rincorrere le nuove generazioni giocando al loro campionato, che sia l’urban, l’ultra-pop o quell’r&b che, è vero, lui per primo aveva sdoganato ai tempi di Xdono, ma che poi da lì ha fatto tanti passi avanti.
La rivoluzione della trap e dell’indie, il cambio di gusti avvenuto nel fatidico 2016, è stato dura da digerire per quelli come lui, e non a caso il suo declino, anche in termini di consenso, è cominciato in quel periodo. Ma non tutto è perduto, anzi. Il 2025 ha sancito il ritorno del pop più melodico e da cantare, con i vari Achille Lauro, Olly, Tananai, più l’esplosione, tra i giovanissimi, di “vecchie” glorie come Giorgia e lo stesso Cesare Cremonini, coetaneo di Ferro ma ben più attivo e centrato, oggi come oggi, a livello creativo. È lì che bisogna guardare.
Curiosità: all’epoca del debutto con Rosso relativo (2001), Ferro aveva in cantiere anche Non me lo so spiegare, che poi sarebbe finita nel successivo 111 (2003); Mara Maionchi, allora sua manager, lo invitò a tenersela da parte, perché qualora il primo album fosse andato male si sarebbero giocati la carta a Sanremo, convinti di avere ottime chance di vincerlo. Il resto è Storia: non ce ne sarebbe bisogno, e all’Ariston Ferro non sarebbe mai andato. Prima di ora. Adesso, ebbene sì, servirebbe: servirebbe, però, un’altra Non me lo so spiegare, uno di quei classici istantanei, sempreverdi, ballatone che dimostrino che Ferro non ha mica perso il tocco. A lui rispondere.