Da specialista dei muri ha vissuto l’estasi del nuovo ciclo De Giorgi: campione d’Europa nel 2021 e del mondo nel 2022. Poi la sospensione dall’attività agonistica, gli interventi chirurgici, il recupero, fino al rientro. «Nessuna rivincita, o forse sì, contro il mio cuore. La Polonia un passo davanti a tutti, ma i dettagli faranno la differenza. Invidia per le ragazze di Velasco? No, siamo entrambi un traino. E la punta di un movimento che pulsa»
L’estate 2025 di Simone Anzani tra entusiasmo, eccitazione, concentrazione e responsabilità. Il ritorno del vicecapitano dell’Italvolley maschile dopo una lunga attesa. La sua ultima grande manifestazione in azzurro risale al 2022, quella cavalcata conclusasi con la medaglia d’oro ai Mondiali in Polonia, un titolo iridato che mancava da 24 anni al maschile. L’estasi del nuovo ciclo del commissario tecnico Fefè De Giorgi, un cambio generazionale iniziato con il botto, subito il titolo di campioni d’Europa nel 2021 e successivamente quello di campioni del mondo.
Poi il cuore di Simone Anzani ha iniziato a fare i capricci. Per due volte, nelle successive due estati, con la medesima tempistica. A fine giugno del 2023, prima degli Europei in Italia, e nel luglio 2024, a tre settimane dai Giochi di Parigi, gli vengono riscontrati problemi cardiaci. Viene sospeso dall’attività agonistica, sottoposto a interventi chirurgici, intraprende il recupero e poi torna in campo.
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«In quei momenti ti cade il mondo addosso. Da atleta c’è lo sconforto di non poter giocare un Europeo in casa e quello ancor più triste di dire addio alle Olimpiadi, che immaginavo già come la ciliegina sulla torta della carriera. Il primo pensiero però è sempre stato quello legato al mio essere un figlio, un marito e un papà di due bambine piccole che contano su di me. Nei momenti di sconforto pensavo: la pallavolo è stata la mia vita, ma c’è la mia famiglia che viene prima di tutto, ho sempre avuto ben chiare le mie priorità. Successivamente abbiamo appurato che gli episodi di tachicardia sopraventricolare non avrebbero mai potuto causare danni irreparabili».
In totale è stato sottoposto a quattro interventi di ablazione cardiaca, il primo ad Ancona e gli altri tre al San Raffaele di Milano. È passato due volte dall’incubo al sollievo.
L’incubo più grande, quando ancora non si sapeva bene quale fosse il problema, era di crollare a terra durante una partita con spettatori in tribuna, o davanti alla tv, i miei familiari. C’è da dire che io non sono mai stato sintomatico, non ho mai percepito le mie aritmie, non sono mai svenuto né ho mai avuto mancamenti. Per fortuna però in Italia abbiamo una medicina dello sport del Coni che rappresenta l’eccellenza, molto scrupolosa, precisa sugli accertamenti, questo è innegabilmente un plus. Quando ho riottenuto l’idoneità sportiva sono stati gli stessi medici a togliermi qualsiasi dubbio, a darmi ogni tipo di rassicurazione.
Inevitabilmente aveva paura di tornare a giocare?
Non la chiamo paura, magari a volte c’è un piccolo cenno di ansia se per caso faccio uno sforzo più intenso, ma oramai ci convivo.
È monitorato, sotto il petto ha impiantato un Loop-Recorder.
Non si tratta né di un pacemaker né di un defibrillatore, altrimenti non mi sarebbe consentito giocare in Italia. È un registratore che monitora il mio cuore h24, è in grado di segnalare eventuali anomalie e trasmetterle immediatamente all’ospedale San Raffaele.
Ha giocato regolarmente l’ultima stagione di Superlega con il suo club Modena volley. Ha sempre avuto la speranza di tornare a rivestire la maglia dell’Italia e ce l’ha fatta. Che titolo diamo a questa sua estate?
Non posso certo chiamarla l’estate della rivalsa dopo le ultime due in cui sono rimasto scottato a livello emotivo. Non c’è alcuna rivincita contro nessuno, forse contro il mio cuore…(sorride, ndr). La voglio definire la mia estate posticipata di un anno. A maggio ho rivestito l’azzurro durante le amichevoli in Germania, per altro avevo anche i gradi da capitano perché Simone Giannelli era in pausa. Mi sono commosso quando mi sono ritrovato a cantare di nuovo l’Inno di Mameli.
Questo nelle Filippine è il suo quarto Mondiale. Un traguardo notevole per quel ragazzo di Como che da piccolo giocava a calcio, nuotava, faceva karate, cresciuto con la passione della Formula Uno, ma che alla pallavolo si è avvicinato tardi, a 15 anni.
Ho iniziato per caso al liceo poi l’anno dopo ero già fuori di casa, chiamato nelle giovanili di Treviso. Non è da tutti giocare quattro Mondiali, riconosco che è un orgoglio. È anche un motivo di felicità per i miei genitori, mia moglie Carolina, mia sorella, gli amici. Loro mi hanno sempre supportato, ma soprattutto sopportato. Ho dovuto usare uno stratagemma con mia figlia più grande che ha quattro anni e capisce tutto, difficile spiegarle le assenze degli ultimi mesi per i lunghi ritiri con la Nazionale. Le ho chiesto: Viola vuoi che papà torni a casa presto o che invece torni tardi ma con un bel regalo? Mi ha risposto: con un grande regalo!
Un enorme regalo all’Italia l’ha fatto la Nazionale femminile con la vittoria del Mondiale un anno dopo l’oro olimpico. C’è chi azzarda che le azzurre invincibili di Velasco mettano ulteriore pressione a voi maschi.
Noi uomini non potremmo mai essere invidiosi perché loro vincono. Le ragazze hanno fatto qualcosa di incredibile negli ultimi due anni, io sono felicissimo per loro. A Myriam (Sylla) ho mandato un messaggio con la raccomandazione di festeggiare tanto! Siamo due gruppi distinti, ma siamo entrambi un traino. Siamo la punta dell’iceberg della pallavolo italiana. Sotto di noi c’è tutto un movimento che pulsa e che trae vantaggio dalle nostre e dalle loro vittorie.
Le critiche dopo il quarto posto di Parigi 2024 hanno ferito il gruppo?
In Italia spesso siamo abituati a idolatrare solo chi vince. Con le vittorie tutti salgono sul carro, se si perde quasi tutti scendono. Nello sport invece bisogna esaminare l’intero percorso, considerare il valore degli avversari. Ne 2021 siamo partiti con questo gruppo che era il più giovane di tutte le altre potenze. Abbiamo fatto subito la doppietta vincendo l’Europeo e il Mondiale. Andiamo a vedere cosa abbiamo raccolto dopo, nell’ordine: un argento all’Europeo 2023, quarti alle Olimpiadi, un argento nella VNL quest’anno. Cioè, siamo sempre arrivati in semifinale in tutte le competizioni. Nel nostro volley maschile una tale costanza al vertice non si vedeva da almeno vent’anni.
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A Manila affrontate questo Mondiale da campioni in carica, un avvicinamento travagliato con il brutto infortunio alla mano destra di Daniele Lavia. Dopo il girone della fase eliminatoria il percorso appare in salita, nell’eventuale quarto ci sarebbe la Francia dell’ oro olimpico e in semifinale la Polonia che è la favorita.
La Polonia è forse la più attrezzata come parco giocatori, ha cinque schiacciatori di livello altissimo. In questo momento loro sono un passo davanti a tutti, ma non deve valere come alibi. Noi ci abbiamo lavorato molto, i dettagli faranno sempre la differenza, possiamo giocarcela fino in fondo. Diciamo che sono quattro/cinque le squadre da battere: Polonia, noi, Francia, Brasile e Stati Uniti. L’infortunio di Lavia è stata una batosta, una di quelle casualità imprevedibili, proprio io so bene cosa voglia dire non giocare un torneo importante. Ma Daniele non è assente, in ogni partita sarà sempre in mezzo al campo con noi.
Lei ha 33 anni, è il veterano. Da centrale è specialista nei muri. Uomo squadra con anche un pizzico di ironia, da qui il suo soprannome Paglia, diminutivo di pagliaccio.
I muri sono il mio lavoro, la specialità della casa, in quest’ultimo periodo ho anche lavorato molto sulla battuta, ho leggermente cambiato la tecnica per migliorarmi. Il copyright del soprannome è di Ricky Sbertoli, il mio compagno di stanza in Nazionale. In teoria è “Paglia-papà”, considerando che sono padre di famiglia. Mi piace essere scanzonato quando sento che nel gruppo c’è bisogno di stemperare la tensione.
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