di
Giuseppe Sarcina
Il presidente Usa non ha ancora interrotto la mesta sequenza di inciampi, retromarce e fallimenti che ha segnato il suo rapporto con il Cremlino
L’ultima manovra di Donald Trump è contenuta in una lettera inviata agli altri 31 partner della Nato e poi rilanciata sulla sua piattaforma social «Truth»: «Sono pronto a imporre sanzioni severe alla Russia quando tutti i Paesi della Nato avranno concordato e iniziato a fare lo stesso e quando tutti smetteranno di comprare petrolio dalla Russia». Inoltre il presidente Usa chiede agli alleati di imporre «sanzioni dal 50 al 100% alla Cina», cioè al Paese che è il maggior acquirente degli idrocarburi russi. Solo così «la guerra potrà finire velocemente». Condizione finale: «sono pronto a partire quando lo sarete voi, ditemi solo quando». Ancora una volta, dunque, Trump scarica su altri la responsabilità politica che dovrebbe toccare innanzitutto allo Stato guida dell’Occidente. Ammesso che lo sia ancora. È evidente che pochi membri dell’Alleanza atlantica accetteranno di fare da apripista in un’operazione così economicamente e politicamente rischiosa, come dichiarare la guerra commerciale alla Cina. Un portavoce della Ue, per altro, ieri ha subito precisato che «l’Unione è pronta a collaborare con gli Stati Uniti per le sanzioni contro la Russia, ma che le sanzioni europee «non si applicano extra territorialmente, seguendo un principio di lunga durata». Traduzione: non possiamo colpire la Cina, perché compra petrolio e gas da Mosca.
A questo punto anche questa mossa di Trump rischia di finire nel nulla, anche se dice di «aver perso la pazienza con Putin». È una frase che abbiamo sentito tante volte negli ultimi mesi. E, almeno per adesso, il leader della Casa Bianca non ha ancora interrotto la mesta sequenza di inciampi, retromarce e fallimenti che ha segnato il suo rapporto con il Cremlino. Certo, il problema trumpiano è di aver fissato fin dall’inizio obiettivi irrealistici. A cominciare dalla campagna elettorale, nell’estate-autunno del 2024: «farò terminare la guerra in 24 ore». In realtà Trump ha oscillato paurosamente e continua a farlo, disorientando i ministri del suo governo, gli alleati, ma, a quanto pare, non gli avversari degli Stati Uniti. Vale la pena ricordare che almeno fino all’aprile scorso, il presidente americano si è dedicato più a delegittimare la posizione di Volodymyr Zelensky che quella di Putin. Poi, dopo il «confessionale» con il leader ucraino, in occasione del funerale di Papa Francesco, a San Pietro il 26 aprile scorso, Trump sembrava aver corretto la sua posizione, spostandosi nel campo di Zelensky. Ma di nuovo, ha provato a riagganciare Putin, aprendo alle sue condizioni per ottenere, di fatto, la resa dell’Ucraina.
Da almeno un mese il leader Usa si è infilato da solo in una trappola da cui non sarà facile uscire. Alla vigilia del vertice con Vladimir Putin, ad Anchorage, in Alaska, aveva dichiarato con toni ultimativi: o ci sarà il cessate il fuoco, oppure adotterò sanzioni pesanti contro la Russia. Il cessate il fuoco non si è visto. E neanche le sanzioni.
A Ferragosto sembra arrivata l’occasione per la svolta. Putin accetta l’invito al faccia a faccia con Trump, a cui sarebbe dovuto seguire un triangolare tra i numero uno di Mosca, Kiev e Washington. Qualche settimana, dopo, è apparso chiaro anche a Trump, che Putin non aveva alcuna intenzione di avviare un colloquio diretto con Zelensky. E, anzi, da quel momento i missili e i droni russi hanno cominciato ad attaccare la popolazione civile ucraina con ancora maggiore violenza. Infine, l’incursione dei droni nel territorio polacco di pochi giorni fa. Il pendolo trumpiano entra di nuovo in azione: da una parte minimizza «l’incidente», derubricandolo a «un possibile errore». Dall’altra annuncia di «essersi stufato» di Putin. Per adesso, però, la casella dei risultati ottenuti è ancora a zero. La Russia, nel frattempo, ha strappato, sia pure lentamente, altro terreno agli ucraini e ha messo alla prova la tenuta militare e politica dell’Alleanza Atlantica. Trump non è stato in grado di intervenire. O, secondo un’altra scuola di pensiero, non ha voluto. È il grande dubbio che, a quanto pare, ci accompagnerà ancora per molto tempo.
13 settembre 2025
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