di
Gian Guido Vecchi
Il quotidiano peruviano «El Comercio» anticipa stralci dell’intervista a Prevost che accompagna una biografia scritta da una giornalista: «Mi sento stimolato, ma non sopraffatto»
CITTÀ DEL VATICANO «Il ruolo di Papa è nuovo per me. Sto imparando molto». Il quotidiano peruviano «El Comercio» ha anticipato oggi ampi stralci dell’intervista di Leone XIV, la prima da Papa, che accompagna una biografia, «León XIV: ciudadano del mundo, misionero del siglo XXI», scritta dalla giornalista statunitense Elise Ann Allen. Robert Francis Prevost, dice di sentirsi «profondamente americano» e affronta, tra gli altri, il tema del suo papato («non sono sopraffatto»), della pace nel mondo («ho alzato la mia voce» per dire che «è l’unica risposta»), dei divari di reddito tra la classe operaia e i ricchi («ho letto che Elon Musk sarà il primo triliardario al mondo. Se questo è tutto ciò in cui c’è valore oggi, allora siamo in grossi guai») e del processo sinodale della Chiesa («non si tratta di cercare di trasformarla in una sorta di governo democratico, poiché, se guardiamo a molti Paesi del mondo di oggi, la democrazia non è necessariamente una soluzione perfetta per tutto»).
Papa Leone, che oggi compie 70 anni, è stato eletto poco più di quattro mesi fa e spiega: «Ho ancora una lunga curva di apprendimento davanti a me. C’è una parte importante in cui sento di essermi mosso senza troppe difficoltà, ed è quella pastorale. Mi sorprende ancora la risposta della gente, quanto sia ancora positiva, l’avvicinamento a persone di tutte le età. Apprezzo tutti, chiunque siano, da qualunque luogo provengano, e li ascolto». Del resto, «l’aspetto completamente nuovo di questo lavoro è quello di essere stato lanciato a livello mondiale», considera.
«È qualcosa di molto pubblico, la gente è a conoscenza delle conversazioni telefoniche o degli incontri che ho avuto con i capi di Stato di vari governi e paesi di tutto il mondo, in un momento in cui la voce della Chiesa ha un ruolo importante da svolgere. Sto imparando molto su come la Santa Sede abbia avuto un ruolo nel mondo diplomatico per molti anni. Tutto questo è nuovo per me dal punto di vista pratico. Ho seguito l’attualità per molti anni. Ho sempre cercato di tenermi aggiornato sulle notizie, ma il ruolo di Papa è certamente nuovo per me. Sto imparando molto e mi sento stimolato, ma non sopraffatto. Da questo punto di vista, ho dovuto tuffarmi in acque profonde molto rapidamente. Essere Papa, chiamato a confermare gli altri nella loro fede, che è la parte più importante, è anche qualcosa che può avvenire solo per grazia di Dio; non c’è altra spiegazione. Lo Spirito Santo è l’unico modo per spiegarlo. Come sono stato scelto per questa carica, per questo ministero? Per la mia fede, per ciò che ho vissuto, per la mia comprensione di Gesù Cristo e del Vangelo, ho detto sì, sono qui. Spero di essere in grado di confermare gli altri nella loro fede, perché questo è il ruolo fondamentale che ha il successore di Pietro».
Conflitti e mediazioni
Nei primi mesi il nuovo Papa ha già volte invocato la pace, la giornalista gli chiede in particolare della Ucraina: quanto è realistico che il Vaticano sia un mediatore? «Farei una distinzione tra la voce della Santa Sede che sostiene la pace e un ruolo di mediatore, che è molto diverso e non è così realistico come il primo», chiarisce Leone XIV.
«Credo che la gente abbia ascoltato i vari appelli che ho lanciato; ho alzato la mia voce, la voce dei cristiani e delle persone di buona volontà, dicendo che la pace è l’unica risposta al massacro di persone dopo questi anni da entrambe le parti, in quel conflitto in particolare, ma anche in altri conflitti. La gente deve in qualche modo svegliarsi e dire: c’è un altro modo per farlo». Certo non è facile: «Sono ben consapevole delle implicazioni che ha pensare al Vaticano come mediatore, anche nelle due occasioni in cui ci siamo offerti di ospitare incontri di negoziazione tra Ucraina e Russia, sia in Vaticano che in qualche altra proprietà della Chiesa. Da quando è iniziata la guerra, la Santa Sede si è impegnata molto per mantenere una posizione veramente neutrale. Alcune cose che ho detto sono state interpretate in un modo o nell’altro, e va bene così, ma la parte realistica non è la cosa principale in questo momento. Credo che diversi attori debbano esercitare una pressione sufficiente affinché le parti in guerra dicano: basta, cerchiamo un altro modo per risolvere le nostre divergenze. Continuiamo ad avere speranza. Credo fermamente che non possiamo perderla, mai. Ho grandi speranze nella natura umana. C’è il lato negativo. Ci sono cattivi attori, ci sono tentazioni. Da qualsiasi parte, da qualsiasi posizione, si possono trovare motivazioni buone e motivazioni meno buone. Eppure, continuare a incoraggiare le persone a guardare ai valori più alti, ai valori reali, fa la differenza. Si può avere speranza e continuare a cercare di fare pressione e dire alla gente: facciamo le cose in modo diverso».
Ponti e crisi del multilateralismo
Pontefice, in fondo, significa proprio «costruttore di ponti». E «il modo per costruire ponti è attraverso il dialogo», non ci sono alternative: «Una delle cose che sono riuscito a fare in questi primi due mesi è stata quella di avviare almeno un qualche tipo di dialogo, incontrando i leader mondiali delle organizzazioni multinazionali. In teoria, le Nazioni Unite dovrebbero essere il luogo in cui vengono affrontati molti di questi temi. Purtroppo, sembra esserci un consenso generale sul fatto che le Nazioni Unite, almeno in questo momento, abbiano perso la loro capacità di multilateralismo. Molti sostengono che sia necessario instaurare un dialogo bilaterale, poiché esistono ostacoli a diversi livelli che impediscono il progresso delle questioni multilaterali. Dobbiamo continuare a ricordare a noi stessi il potenziale dell’umanità di superare la violenza e l’odio che ci dividono sempre più. Viviamo in un’epoca in cui la polarizzazione sembra essere una delle parole del giorno, ma non sta aiutando nessuno. O se sta aiutando qualcuno, sono pochissimi, mentre tutti gli altri stanno soffrendo. Quindi continuare a porre queste domande, credo, è importante».
Il mondo polarizzato e Musk
Il mondo è sempre più diviso, ma «una cosa è sollevare la questione e un’altra è parlarne». Per questo «è molto importante avviare una riflessione più approfondita, cercando di capire perché il mondo sia così polarizzato». Così il Papa si chiede: «Cosa sta succedendo? Ci sono molte ragioni. La crisi del 2020 e la pandemia hanno avuto un effetto su tutto questo, ma credo che sia iniziato molto prima. Forse, in alcuni luoghi, anche la perdita di un senso più elevato della vita umana ha qualcosa a che fare con questo. Il valore della vita umana, il valore della famiglia e il valore della società. Se perdiamo il senso di questi valori, che importanza ha ormai? A questo si aggiungono altri fattori. Uno molto significativo è il divario sempre più ampio tra i livelli di reddito della classe lavoratrice e quelli dei più ricchi. Ad esempio, gli amministratori delegati che sessant’anni fa potevano guadagnare da quattro a sei volte di più dei lavoratori, ora, secondo gli ultimi dati che ho visto, guadagnano seicento volte di più di quanto ricevono i lavoratori medi. Ieri ho letto la notizia che Elon Musk diventerà il primo trilionario al mondo. Cosa significa e di cosa si tratta? Se questo è l’unico valore che conta oggi, allora siamo in guai seri».
Tra Usa e Perù
Roberto Francis Prevost è il primo Papa statunitense e insieme ha passato vent’anni come missionario agostiniano e poi vescovo in Perù. Si identifica di può con la prima appartenenza o con la seconda? «Credo che la risposta sia: entrambe le cose allo stesso tempo», risponde anzitutto il pontefice. «Sono ovviamente statunitense e mi sento molto statunitense, ma amo anche molto il Perù e il popolo peruviano, quindi questo fa parte di ciò che sono. Ho trascorso metà della mia vita ministeriale in Perù, quindi la prospettiva latinoamericana è molto importante per me. Ciò si riflette anche nell’apprezzamento che ho per la vita della Chiesa latinoamericana, che è stato significativo sia nel mio legame con Papa Francesco sia nella mia comprensione di parte della visione che egli aveva per la Chiesa e di come possiamo andare avanti in termini di una vera visione profetica per la Chiesa di oggi e di domani».
La giornalista gli chiede per chi tiferebbe, se ai Mondiali di calcio si incontrassero Usa e Perù: «Bella domanda. Probabilmente per il Perù, solo per affetto, se vogliamo. Sono anche un grande tifoso dell’Italia…», risponde diplomatico il pontefice. Che parla anche della sua passione per il baseball: «La gente sa che sono tifoso dei White Sox, ma, come Papa, tifo per tutte le squadre. Anche a casa, sono cresciuto tifando per i White Sox, ma mia madre tifava per i Cubs, quindi non potevi essere uno di quei tifosi che escludono l’altra squadra. Abbiamo imparato, anche nello sport, ad avere un atteggiamento aperto, dialogante, amichevole, perché altrimenti forse non avremmo cenato!»
La sinodalità
Il Papa interviene anche sul tema della sinodalità nella chiesa, nel senso letterale di camminare insieme: «Parlando della Chiesa, consiste nel fatto che ciascuno dei suoi membri ha una voce e un ruolo da svolgere attraverso la preghiera, la riflessione, attraverso un processo. Ci sono molti modi per farlo. Parlando della Chiesa, consiste nel fatto che ciascuno dei suoi membri ha una voce e un ruolo da svolgere attraverso la preghiera, la riflessione […] attraverso un processo. Ci sono molti modi per farlo, attraverso il dialogo e il rispetto reciproco. Cerca di unire le persone e di comprendere che quella relazione, quell’interazione, quella creazione di opportunità di incontro, è una dimensione importante del modo in cui viviamo la nostra vita come Chiesa. Alcune persone si sono sentite minacciate da questo. A volte, i vescovi o i sacerdoti possono pensare che “la sinodalità mi toglierà autorità”. La sinodalità non è questo. E forse la loro idea di cosa sia la loro autorità è un po’ sfocata, sbagliata. La sinodalità è un modo per descrivere come possiamo unirci ed essere una comunità e cercare la comunione come Chiesa, affinché sia una Chiesa il cui obiettivo principale non sia una gerarchia istituzionale, ma piuttosto un senso di “noi insieme”, “la nostra Chiesa”. Ogni persona con la propria vocazione: sacerdoti, laici, vescovi, missionari, famiglie. Ognuno ha un ruolo da svolgere e qualcosa da contribuire, e insieme cerchiamo il modo di crescere e di camminare uniti come Chiesa».
La democrazia non è sempre la soluzione
Così la sinodalità «è un atteggiamento che credo possa insegnare molto al mondo di oggi», considera Leone XIV: «Poco fa parlavamo di polarizzazione. Penso che questo sia una sorta di antidoto. Un modo per affrontare alcune delle sfide più grandi che abbiamo nel mondo di oggi. Se ascoltiamo il Vangelo, se riflettiamo su di esso e se ci sforziamo di camminare insieme, ascoltandoci l’un l’altro, cercando di scoprire ciò che Dio ci sta dicendo oggi, abbiamo molto da guadagnare. Ho grande speranza nel processo iniziato molto prima dell’ultimo sinodo, almeno in America Latina – ho parlato della mia esperienza lì; parte della Chiesa latinoamericana ha davvero contribuito alla Chiesa universale – e credo che ci sia grande speranza se riusciamo a continuare a costruire sull’esperienza degli ultimi due anni e a trovare modi per essere Chiesa insieme. Non si tratta di cercare di trasformare la Chiesa in una sorta di governo democratico, perché, se guardiamo a molti paesi del mondo oggi, la democrazia non è necessariamente una soluzione perfetta per tutto. È una questione di rispetto, di comprendere la vita della Chiesa per quello che è e dire: «Dobbiamo farlo insieme». Questo offre una grande opportunità alla Chiesa, per relazionarsi con il resto del mondo. Fin dai tempi del Concilio Vaticano II, questo è stato significativo, e c’è ancora molto da fare».
Vai a tutte le notizie di Roma
Iscriviti alla newsletter di Corriere Roma
14 settembre 2025 ( modifica il 14 settembre 2025 | 16:46)
© RIPRODUZIONE RISERVATA