Una quindicenne partorisce due gemelli da sola, nel cassone di un pick-up. È Simone, che poi rincontriamo cinque anni dopo, sempre su quel camioncino dove vive e cresce i suoi figli. A Padua Beach, cittadina immaginaria della Florida, ha creato una piccola comunità di madri adolescenti, rifiutate dalla società e cacciate dalle famiglie perché portatrici di vergogna.

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Tra loro ci sono Adela, promessa del nuoto, mandata in esilio per partorire, ed Emory, l’unica bianca, che sogna di andare all’università. Bivaccano sulla spiaggia, dormono in auto, si costruiscono una rete di sostegno, la sola su cui possano contare. Finché Adela si innamora del ragazzo sbagliato e l’equilibrio del gruppo viene compromesso.

Ragazze che diventano grandi è il secondo romanzo dell’americana Leila Mottley, 23 anni. Il suo primo libro, scritto a 14 anni, Passeggiare la notte, è stato finalista al Booker Prize. Il talento è evidente nella costruzione delle voci delle tre ragazze, così distinte, così tridimensionali; nella descrizione cruda, senza edulcoranti né consolazione, della maternità precoce; nell’intrecciare tematiche come l’aborto, gli abusi sessuali, l’amore adolescenziale (queer ed etero), senza giudizio e attraverso un caleidoscopio di prospettive.

Alla fine del libro ringrazia le ragazze che le hanno raccontato le loro storie di maternità. Simone, Adela ed Emory sono ispirate a persone vere?
No. Ho diversi amici e familiari che sono diventati genitori molto presto e mi hanno dato le loro testimonianze. Volevo comunque approfondire la ricerca sulle giovani madri, ho parlato con adolescenti di diversi stati americani e di età diverse. Era importante per me conoscere lo spettro più ampio possibile di esperienze per poi raccontarle. Ma nessuno dei personaggi è reale.

Leila Mottley vive a Oakland, California. Il suo romanzo d’esordio, Passeggiare la notte, è entrato nella classifica dei bestseller del New York Times, ed è stato finalista del Booker Prize. Nel 2018, a sedici anni, è stata la più giovane autrice a essere nominata Poetessa ufficiale di Oakland (Ph Olivier Dion).

Il tema dell’aborto è centrale nella storia. Voleva entrare nel dibattito sui diritti riproduttivi, che oggi negli Stati Uniti, ma non solo, sono di nuovo messi in discussione?
Poco dopo aver iniziato a scrivere, in America è cambiato tutto, la storica sentenza Roe contro Wade (che riconosceva la libera scelta della donna, ndr) è stata annullata, rendendo molto più difficile l’interruzione di gravidanza. Ogni stato ha deciso per sé e soprattutto nel Sud l’accesso all’aborto si è molto ristretto, per questo ho scelto di ambientare la storia in Florida. In questo clima era per me ancora più importante affrontare l’argomento.

Tornano qui temi già intravisti in Passeggiare la notte, come la rappresentazione di giovani dimenticate, marginalizzate, in una realtà degradante. Perché le interessano?
Raramente leggiamo storie del genere. I minori non hanno diritti, non hanno autonomia. Il mondo dice che la loro esperienza è secondaria rispetto a quella dei grandi. Ma non è così. Volevo mostrare che si può essere adolescente e anche madre. I miei personaggi fanno tutto quello che fanno le teenager, si innamorano, vanno alle feste, studiano. Ma poi allattano, giocano, cullano i loro figli. Anche se con enorme difficoltà.

La storia viene raccontata da tre punti di vista diversi, in prima persona. Come ha costruito le voci dei singoli personaggi?
È stata una sfida, volevo essere sicura che ogni ragazza avesse una prospettiva formata dalla sua esperienza di vita e da come era cresciuta. Ho scritto le parti separatamente, facendo una sorta di diario per ciascuna, e poi le ho messe insieme.

Ragazze che diventano grandi di Leila Mottley, Bollati Boringhieri pagg. 336, euro 19.

Abbiamo le madri adulte che abbandonano le figlie incinte e le baby mamme che sfidano gli stereotipi e diventano buoni genitori. Cercava questo contrasto?
Non volevo giudicare, ma semplicemente mostrare tanti tipi di maternità. Queste adolescenti per la prima volta vengono deluse dalle loro madri che le rifiutano e poi diventano mamme a loro volta e capiscono tante cose. Fanno del loro meglio per crescere i figli, come tutti. E si creano una rete di supporto tutta loro e una famiglia che non è quella di origine.

Emory dice: «È molto più sicuro non desiderare un bel niente». È quello che la società vuol fare credere ai giovani?
Sì. Li incoraggia ad avere aspettative realistiche e questo vuol dire rigettare i loro sogni. Emory si prepara a essere delusa, ad accettare quello che le viene dato. Ma poi, proprio lei, sorprende tutti con una decisione che nessuno si aspetta.

Il libro ha una struttura in tre parti (primo, secondo e terzo trimestre): riflette una gravidanza?
Segue la gestazione di Adela. Così alla fine non vediamo solo la nascita di un bambino ma anche la rinascita di queste tre ragazze. Dieci mesi, in adolescenza, sono un tempo lunghissimo. Tutte e tre in quel periodo crescono e arrivano a capire cosa vogliono davvero. Per la prima volta non sono più gruppo, ma prendono decisioni individuali.

Che cosa le ha dato la spinta per iniziare a scrivere?
La poesia. A sei anni scrivevo poemi. A sedici mi hanno nominato “Poet laureate” (Poetessa ufficiale) di Oakland, la mia città. Scrivere è un bisogno, mi piace la sfida di creare mondi interi e di investire tempo in persone che non esistono se non sulla carta.