di
Federico Fubini

Il generale: europei in ritardo nel fare i conti con la minaccia russa

Secondo il generale David Petraeus, già comandante delle forze multinazionali in Iraq sotto George W. Bush e direttore della Cia sotto Barack Obama, i governi europei sono in ritardo nel fare i conti con la minaccia russa. Hanno bisogno di un «catalizzatore», dice. E pensa che forse le invasioni dei droni di Mosca nello spazio aereo della Polonia e della Romania potrebbe fornirlo. 

Cosa sta cercando di ottenere la Russia con queste incursioni di droni? «Stanno sondando le difese aree della Polonia e della Nato per vedere qual è la risposta. E le risposte sono state impressionanti. Si sono alzati in volo F-16, F-35, sistemi di comando Awacs, aerei cisterna, rifornitori. Quasi subito ci sono state le consultazioni fra alleati. Penso che la Russia si renda conto che così non ottiene niente». 



















































Ma ha generato insicurezza nell’opinione pubblica e sondato le reazioni della Nato. 
«Penso che otterrà l’opposto, perché spingerà i governi alleati a fare ciò che avremmo dovuto fare prima: agire per permettere all’Ucraina di cambiare il corso della guerra a proprio favore, per mettere pressione sull’economia russia e dare all’Ucraina garanzie talmente solide che una nuova guerra diventi proibitiva per Mosca».

Le opinioni pubbliche in vari Paesi occidentali, Italia inclusa, non sembrano convinte che sia così urgente. 
«Lo è, invece. Il destino dell’Ucraina è il destino dell’Europa e, a mio avviso, del mondo libero. L’Ucraina condivide i principi, i valori e le libertà per cui tutti noi abbiamo lottato in momenti diversi. Ora in prima linea di questa lotta ci sono loro, gli ucraini».

I droni russi entrati nei cieli della Polonia o della Romania sono costati forse ventimila euro l’uno, mentre gli aerei per contenerli e abbatterli costano centinaia di milioni. È sostenibile? 
«Questi sistemi molto costosi hanno sparato munizioni molto costose (tre milioni di euro a colpo, ndr) per abbattere droni relativamente economici. Molti erano droni-esca, ma quando sono nel tuo spazio aereo non sai se sono armati o no: devi abbatterli. Questo mostra che invece degli europei che addestrano gli ucraini, ora sono gli ucraini che dovrebbero condividere ciò che sanno. Hanno sviluppato capacità a basso costo per contrastare gli Shahed (droni iraniani in dotazione alla Russia, ndr). È ora di riconoscere che le più grandi innovazioni attuali nell’industria della difesa sono ucraine, con poche eccezioni di altissimo livello: i caccia Stealth, i sistemi di difesa-antimissile come i Patriot, i missili balistici a lungo raggio».

Può fare esempi di innovazioni ucraine? 
«La guerra elettronica, gli intercettori anti-drone, i droni stessi, i sistemi aerei, terrestri e marittimi senza pilota. E ciò che fanno gli ucraini è prodotto a una frazione del costo rispetto ai Paesi occidentali».

Sta dicendo che l’industria della difesa di vari Paesi occidentali rischia di diventare obsoleta?
«No, dico che in realtà tutti dobbiamo imparare sul piano concettuale, della dottrina di guerra, della leadership, della formazione, delle strutture organizzative, dei materiali. Dobbiamo imparare da ciò che l’Ucraina sta facendo con un successo incredibile. Ma anche loro devono continuare a innovare. Sanno dal 2014 che non possono sconfiggere un grande esercito di modello sovietico con un altro esercito più piccolo di modello sovietico. Devono essere innovativi, agili, decentrati, dotati di un’organizzazione capace di apprendere, con una creatività mozzafiato. E loro sono così. Hanno costruito il sistema di comando, controllo, comunicazione e intelligence più avanzato al mondo con pochi milioni di dollari». 

Donald Trump chiede che l’Europa applichi dazi fino al 100% contro la Cina, se continua a comprare petrolio russo. Non è meglio la proposta europea di un tetto a 45-47 dollari al barile sul greggio di Mosca? 
«Sono un ex soldato, un ex capo dell’intelligence. Però ho un dottorato in economia e relazioni internazionali. È incoraggiante vedere che gli Stati Uniti affrontano la questione nel G7, come in questi giorni. Dobbiamo affamare l’economia di guerra della Russia e prendere provvedimenti contro chi la sostiene. Ma bisogna iniziare abbassando in modo concordato il prezzo a cui la Russia può vendere il suo petrolio». 

Possono esserci dei contraccolpi anche per noi? 
«Certo se si togliesse petrolio russo dal mercato, il prezzo internazionale potrebbe salire. Ma oggi l’offerta è leggermente superiore alla domanda. Il modo migliore per evitare il caos sul mercato sarebbe un aumento di produzione dell’Opec. Quando ero direttore della Cia, io lo chiesi ai sauditi». 

È il timore di uno choc petrolifero a rendere l’Occidente così lento e esitante sulle sanzioni a Mosca? 
«Si può sostenere che gli americani siano stati un po’ troppo cauti e le decisioni siano arrivate troppo lentamente, con Joe Biden. Ma con Trump c’è un’accelerazione: gli europei finalmente si sono impegnati e spendere di più nella difesa e anche gli sforzi diplomatici procedono molto più in fretta».

14 settembre 2025 ( modifica il 14 settembre 2025 | 16:47)