“E’ stato per puro caso che ho scelto architettura, non l’ho nemmeno scelta. E’ capitata”. E’ stato il caso, o forse il destino, che ha disegnato così la vita di Massimiliano Fuksas, ospite del Festival del pensare contemporaneo in piazza Cavalli a Piacenza, rendendola ricca non solo di soddisfazioni professionali quanto di incontri eccezionali.
Insieme alla giornalista Paola Pierotti ne ripercorre alcune tappe, contenute nel libro che si intitola proprio “E’ stato il caso” edito da Mondadori. Inevitabile partire dalla propria nascita: il padre, Raimondas, di origine lituana, era a Roma per frequentare un dottorato in medicina e proprio alla Sapienza ha conosciuto e si è innamorato di Tersilia, studentessa di filosofia. Dal loro amore nasce Massimiliano, che resta però presto orfano di padre. “E’ morto quando avevo sei anni, eravamo molto legati ma quello che poteva essere un trauma irreparabile, diventa un punto di svolta. Perché il padre rappresenta il senso del potere e la sua morte mi consente di avere una vita libera dal senso del potere. E poi potrò avere mia madre tutta per me”.
Il legame con la madre resterà saldissimo per tutta la lunga vita di lei, e il forte legame è ancora palpabile adesso. “Ero andato a vivere fuori di casa a 17 anni, allora era possibile riuscire a permettersi un’abitazione se si guadagnava qualche soldo. Io mi mantenevo facendo il pittore ed ero felice. Dopo l’esame di maturità sono andato a raccontare a mia madre come era andata e lei subito mi ha incalzato, chiedendomi quali fossero i miei piani per il futuro. io sono rimasto spiazzato, perché non pensavo di andare all’università. Ho scelto architettura perché volevo colpire, impressionare mia madre. Ma è stato un caso”.
Tempo qualche anno e il giovane Fuksas finirà a Cuba, a lavorare nelle piantagioni di canna da zucchero, insieme ad un gruppo di amici. E lì assiste a un comizio in cui Che Guevara dice che amare la mamma è più importante di fare la rivoluzione. Perché? Perchè la mamma di un amico di Fuksas, intenzionato a non tornare più in Italia, disperata si era rivolta proprio a El Che, scrivendogli una lettera.
Tanti aneddoti arricchiscono poi il percorso professionale dell’archistar, dall’inaugurazione nel 2005 della Fiera di Milano, da lui progettata, a cui non andrà per non dover stringere la mano a Berlusconi, come mamma Tersilia – che ritorna anche qui – gli aveva intimato di fare. “Mi aveva detto ‘Se io ti vedo in televisione stringere la mano a quello lì, io non ti saluterò mai più’ – racconta l’architetto, allargando le braccia -. Insieme a mia moglie Doriana ci abbiamo pensato per tutta la notte e alla fine è andata come andata, anche per un motivo ancora più profondo. Era un’inaugurazione che poteva tenersi anche più tardi, invece si è tenuta durante la campagna elettorale di Formigoni. E’ stata molto politicizzata, anche se il mio gesto è stato giudicato con una battuta che io reputo geniale: ‘Fuksas ha il cuore a sinistra e il portafogli a destra’”.
Ma sono tanti i progetti che lo hanno visto protagonista in giro per il mondo, dal centro per la pace di Tel Aviv in Israele, nato da una telefonata di Shimon Peres ricevuta nel cuore della notte da un incredulo Fuksas. “Peres voleva realizzarlo insieme ad Arafat e così mi è stato organizzato un incontro con lui, a Ramallah” racconta. Il viaggio è incredibile, dice Fuksas, attraverso terre di cui nessuno riesce ad attribuire la nazionalità. “E’ un tema che è ancora di attualità oggi”. L’incontro con Arafat è suggestivo, anche perché subito rilancia proponendo un altro progetto da realizzare, dimostrando di essere del mestiere. “Mi ha detto che si era laureato in ingegneria al Cairo, negli anni Cinquanta”.
In un passato e presente dettato dal caso, Fuksas affida il futuro alla speranza quanto mai necessaria in questo periodso storico. “Alla fine l’uomo trova sempre le risorse, nonostante tutto. Ci saremmo già dovuti estinguere come i dinosauri. Invece continuamo a crescere. E ce la faremo, siamo 8 miliardi di persone contro 1200 super ricchi. E quindi dovremo vincere noi”.