Cosa c’è di più inquietante di una storia che ti fa dubitare persino dei tuoi ricordi? I thriller psicologici hanno proprio questa forza: scavano nelle paure più nascoste, confondono il confine tra verità e menzogna e ti tengono sveglio ben oltre l’ultima scena.

Negli ultimi anni Netflix ha dimostrato di saper padroneggiare questo genere, portando in streaming serie che hanno fatto discutere e appassionare milioni di spettatori. Accanto a titoli come Dark – I segreti di Winden o Dietro i suoi occhi, nel 2023 è arrivata una miniserie tedesca che merita di essere riportata sotto i riflettori: “La mia prediletta” (Dear Child).

Perché vale la pena recuperarla oggi? Perché è una di quelle storie che non si limitano a intrattenere, ma ti fanno vivere un’esperienza disturbante, quasi claustrofobica. Ti mettono davanti a domande che non hanno risposte semplici: chi siamo davvero quando tutto ciò che sappiamo di noi stessi viene cancellato? E cosa resta dell’amore quando è costretto a crescere nel terrore? Sei episodi da vedere tutti d’un fiato, che trasformano il divano in una prigione emotiva.

La serie Netflix, ispirata al bestseller di Romy Hausmann, ha saputo catturare l’attenzione del pubblico fin da subito, imponendosi tra le produzioni più inquietanti del 2023. Le atmosfere sono cupe, la suspense è costruita con abilità e ogni dettaglio sembra avere un peso nascosto. Non si tratta solo di un giallo, ma di un viaggio nell’oscurità dell’animo umano, dove nulla è come appare.

“La mia prediletta” non è un thriller qualsiasi: è una serie che parla anche di donne, della loro capacità di resistere, della forza che si nasconde nella vulnerabilità. Dietro il misterioso “lui”, dietro la violenza e la paura, c’è un racconto che mette al centro le vittime, il trauma e il difficile cammino verso la verità.

Le atmosfere sono da incubo, i colpi di scena numerosi e il ritmo serrato, tanto che resistere alla tentazione di una maratona è quasi impossibile. Certo, non è una serie per stomaci delicati: la durezza di alcune scene può spiazzare. Ma se ami il genere, questa produzione tedesca su Netflix è uno di quei titoli che vale davvero la pena (ri)vedere.

La trama si apre con una scena che sembra uscita da un incubo: una donna fugge disperata in un bosco, seguita da una bambina che la chiama “mamma”. Un’auto le investe, portandole in ospedale. Al risveglio, la donna non ricorda nulla: né il suo nome, né la sua vita. Eppure accanto a lei ci sono due bambini che affermano di conoscerla bene, di vivere insieme a “lui”, un’entità invisibile ma onnipresente che ha stabilito regole rigide e spietate.

Da qui inizia un labirinto di identità e menzogne. La donna viene registrata come Lena, una ragazza scomparsa tredici anni prima. Ma è davvero lei? O è un’altra vittima, costretta a impersonare qualcuno che non è mai stata? La polizia, guidata dall’agente Gerd Bühling, si trova di fronte a un mistero che diventa sempre più oscuro man mano che emergono i dettagli. E ogni rivelazione porta con sé nuove domande.

Quello che colpisce non è solo la trama, ma la resa dei personaggi. Kim Riedle, protagonista già vista in Skylines, riesce a trasmettere allo spettatore una fragilità che si trasforma in resistenza, rendendo la sua Jasmin/Lena una figura memorabile. Al suo fianco, i giovanissimi Naila Schuberth e Sammy Schrein sono sorprendentemente intensi: i loro sguardi dicono più delle parole, e creano un senso di inquietudine che resta dentro.

Il cast, quasi del tutto sconosciuto al pubblico italiano, si rivela la carta vincente: Haley Louise Jones (Paradise), Julika Jenkins (Dark), Jeanne Goursaud (Barbarians), Hans Löw (Colpevoli), Justus von Dohnányi portano in scena personaggi credibili, sfaccettati, che amplificano il senso di oppressione. La regia di Isabel Kleefeld dosa abilmente i tempi, alternando momenti di silenzio glaciale a improvvise esplosioni di tensione.