Il celebre conduttore radiofonico e volto televisivo festeggia il quarantesimo anniversario dell’icona di Nintendo, raccontando il suo legame con l’idraulico baffuto

Super Mario è un personaggio amato da tutti, si sa, e tra i suoi fan più appassionati c’è anche Rudy Zerbi. Conduttore radiofonico, produttore musicale e volto televisivo di grande successo, Zerbi non nasconde la sua anima geek; anzi, si mostra sin da subito molto entusiasta e competente quando gli chiediamo di raccontarci del suo legame con il franchise Super Mario in occasione del suo quarantesimo anniversario: «In realtà, Super Mario Bros. non è il primo gioco della serie», precisa immediatamente, «ma rischiamo di andare troppo nei tecnicismi: prima c’è Donkey Kong, ma all’epoca Mario si chiamava Jumpman…queste, però, sono storie noiose, storie da nerd che non interessano a nessuno! [ride]». 

C’è una certa passione per i videogiochi, già a partire da Super Mario. Ma qual è stato il primo titolo della serie che ha giocato? 
«Ho iniziato nel 1985 proprio con Super Mario Bros. e da lì in poi non ho mai praticamente mollato. Ciò che mi è sempre piaciuto di Super Mario – quando è uscito il primo gioco, avevo15 anni – è che, a differenza della maggior parte dei protagonisti dei videogiochi dell’epoca, non è un supereroe. Il motivo per cui tutti amano Super Mario è proprio perché è uno di noi, è un antieroe. Fa un lavoro normale, è una persona normale – se vuoi, anche a goffo e buffo – e poi, a sorpresa, fa grandi cose, risolve grandi cose». 



















































Il segreto del successo di Super Mario da 40 anni è la normalità, dunque?
«Sì, ho sempre trovato interessante questa sua caratteristica. Quando ero adolescente, ero esattamente come lui: avevo i capelli rossi, le lentiggini, non ero uno sportivo, non mi piaceva il calcio, non mi piaceva andare in moto e quindi anch’io, in fin dei conti, ero un goffo Super Mario. […] Pensiamo all’epoca in cui viviamo oggi, un’epoca terribile e vuota, in cui se non sei perfetto, non vai bene, dove se non rispetti certi canoni, certe misure, certe estetiche, non vieni considerato. Anzi, vieni ritenuto imperfetto, sbagliato. Invece, Super Mario porta con sé un bel messaggio, molto importante: “No matter who you are”. Lui stesso non è un principe, ma è un uomo “normale” che salva una Principessa. Se ci pensiamo, tutto questo è accaduto 40 anni fa, eppure è molto attuale». 

Super Mario ha sempre avuto un forte potere aggregativo. Già dal primo capitolo, c’era la possibilità di giocare in due grazie alla presenza di Luigi. Questo non va un po’ contro la retorica dominante secondo cui i videogiochi isolano? 
«Io ho quattro figli e tutti in età da videogiochi, perché il più grande ha 25 anni e il più piccolo ne ha 10. Personalmente, credo molto nel potere aggregativo dei videogiochi, ma soprattutto, nella sua versione più moderna, ossia quella di giocare fra amici online. A me diverte molto quando i miei figli, finiti i compiti, finite le loro attività, si ritrovano a giocare online. Per molto tempo, hanno vissuto in tre città diverse, tra Milano, Bologna e Roma. Ero felice quando alla sera, prima di cena, giocavano tra di loro, magari connessi da città diverse: alla fine, era come un grande salotto virtuale, sparso fra Milano, Roma e Bologna. Mi piaceva da morire perché in quel momento eravamo tutti insieme e io giocavo con loro, o comunque li guardavo giocare. In fin dei conti, era un po’ il nostro focolare. Ma c’è una regola: la console è una, sta in salotto e si gioca insieme. Niente console in cameretta, così non c’è modo di isolarsi». 

Lo dicono i dati: l’industria videoludica fattura più di quella musicale e cinematografica messa insieme. Da conduttore televisivo e radiofonico, ma anche da genitore, ritiene che oramai i videogiochi si stiano sostituendo ai media tradizionali per le nuove generazioni? 
«Posso parlare della mia esperienza personale, ciò che vedo accadere in Casa Zerbi. I miei figli guardano programmi in TV, le piattaforme di streaming, poi passano su Youtube o TikTok, videogiocano. Non percepisco il videogioco come qualcosa che sostituisca o che mandi in pensione i media tradizionali. I ragazzi di oggi sono abituati a saltare rapidamente e con agilità da un contenuto all’altro. Oramai sono multitasking. Ad esempio, io non sarei mai riuscito a studiare ascoltando la musica su Youtube o magari avere Whatsapp connesso. Eppure, loro lo fanno con disinvoltura, è più un’esperienza cross-mediale. Non parlerei di sostituzione, ma di un medium si aggiunge agli altri».

Per non perdere le ultime novità su tecnologia e innovazione
iscriviti alla newsletter di Login

14 settembre 2025