CERVIA – Roberto Palpacelli, dopo una carriera contornata da luci e ombre, non ha ancora intenzione di fermarsi. All’età di 55 anni il tennista pescarese è vice campione italiano nella categoria Veterani, paga la sconfitta in finale contro Mauro Colangelo, finita 6/4 – 6/2.

“Il Palpa”, così viene soprannominato, è stato ed è un frequentatore del Circolo Tennis “Maggioni” a San Benedetto, una vera e propria icona per gli appassionati di tennis. In un recente articolo pubblicato su Eurosport, è presente un aneddoto proprio legato allo stesso Circolo e a due leggende di questo sport come Adriano Panatta e Paolo Bertolucci:

Riano, provincia di Roma, un giorno del 1985. Dal telefono a gettoni del centro tecnico del Coni parte una chiamata: «Adriano, sono Paolo. Devi venire subito, qui c’è un under 16 che sta facendo un provino ma con gli altri non c’entra niente. Certo che dico sul serio. È mancino, la palla gli esce che è una meraviglia. Devi vederlo». Paolo era Bertolucci. Adriano era Panatta, allora direttore tecnico della Fit e pure febbricitante, ma andò ugualmente a vedere quel ragazzino che al suo circolo, a San Benedetto del Tronto, si allenava col maestro Ferrante Rocchi (ex 153 ATP) e tutti lo chiamavano Virgola, perché era magrissimo. Panatta arrivò e restò folgorato. Lo convocò in segreteria: «Ragazzino, come ti chiami? Noi vogliamo farti entrare nel gruppo. Sì, in nazionale: pensiamo a tutto noi, allenamenti, sistemazione, pasti. Dormirai con gli altri al residence Parioli in città, al mattino verrà il minibus a caricarvi». «Salve, io sono Roberto. E in questo lager non ci voglio stare un giorno di più, altro che venirci a vivere».

Sempre Bertolucci dirà:” Palpacelli era davvero speciale. Eravamo rimasti colpiti dal suo talento, ma già al raduno si vedeva che era un ribelle: non gli stava bene niente, si lamentava in continuazione. Capita così coi talenti, uno come Fognini è più difficile da governare di un Seppi, no? Solo che non ne volle proprio sapere: gli consigliammo di tornarsene a casa, pensarci bene e richiamarci. Naturalmente, quella telefonata non arrivò mai. Mi è dispiaciuto molto, perché era un pezzo raro; sembrava la accarezzasse, la palla, poi partivano fucilate. Stilisticamente era perfetto. Da lì, credo di averlo rivisto una volta sola, tanti anni dopo”.

Una carriera che ha del mitologico, caratterizzata da storie e racconti, tramandati principalmente dalle persone che lo hanno visto e conosciuto. Un personaggio controverso, che ha combattuto con i suoi demoni e le sue fragilità, che all’età di 55 anni, sempre con la racchetta in mano, dimostra di essere un fuoriclasse assoluto.

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