Il ministero della Salute dovrà versare un risarcimento di quasi un milione e mezzo di euro al marito e ai due figli di una donna fiorentina, di origine campana, morta nel 2018 a seguito di una trasfusione di emoderivati infetti. La decisione arriva dalla Corte d’appello di Firenze, che ha ribaltato la sentenza di primo grado escludendo ogni dubbio sul nesso causale tra le trasfusioni e la morte.

La vicenda risale al 1978, quando la donna ricevette sangue infetto durante un parto in una casa di cura di Firenze, e poi di nuovo nel 1979 e nel 1980 in un ospedale del capoluogo toscano. Quei trattamenti provocarono l’infezione da epatite C (HCV), che nel luglio del 2018 ne ha causato il decesso.

Gli avvocati Filippo Casaldo, Michele Francesco Sorrentino e Pierlorenzo Catalano, che assistono i familiari, parlano di “un precedente fondamentale per casi simili”, sottolineando come la sentenza riaffermi “l’obbligo delle istituzioni di garantire la sicurezza sanitaria dei cittadini”.

La battaglia legale è durata quasi cinquant’anni: due domande amministrative respinte dal ministero e due cause civili rigettate sia in primo che in secondo grado, prima che la Corte d’appello riconoscesse le responsabilità ministeriali.

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