Considerato un superfood, questo seme (e l’olio che se ne ricava) combatte trigliceridi, colesterolo e ipertensione. E in menopausa aiuta a contrastare l’osteoporosi. Accertatevi però di non essere allergici.Ricordate la formula magica «Apriti sesamo!»? La sente dire nel bosco il taglialegna Alì Babà al capo dei ladroni davanti all’ingresso di una caverna che nasconde un tesoro. Al suono della frase la porta si apre e così il furbetto poco dopo la usa per entrare e rubare un po’ di tesoro. Saputo di grotta, ricchezze e formula, anche suo fratello si imbuca con l’idea di sgraffignare quanto può, ma poi dimentica la formula per uscire perché confonde il sesamo con altre piante. Parliamo della fiaba Alì Babà e i 40 ladroni, dalla nota raccolta favolistica Le mille e una notte. L’origine della frase è dubbia: per alcuni la parola sesamo indica il paradiso, per altri si riferisce precisamente al sesamo nel senso della pianta, in connessione con antiche pratiche magiche babilonesi che usavano l’olio di sesamo. Quale che sia la sua origine, questa bella frase, ormai appartenente anche al nostro immaginario, non solo a quello mediorientale, fu classificata da Stith Thompson, etnologo americano e coautore del Sistema di classificazione Aarne-Thompson. Nei sei volumi di Motif-Index of Folk-Literature, uno studio importante degli anni Trenta del secolo scorso sugli elementi dei racconti favolistici ancora oggi basilare, la frase fu classificata come motif D1552.2, «montagna aperta da formula magica». In italiano la frase si traduce indifferentemente «Apriti sesamo» e «Sesamo apriti». Si intitola «Apriti sesamo» il ventottesimo album di Franco Battiato, del 2012. Ma ormai altro che apriti sesamo, piuttosto aprici, sesamo, alle tue virtù e facci diventare belli, longevi e super sani, essendo tu considerato un superfood.Molti credono che il sesamo sia un cereale. No, è un seme oleoso, il seme conchiuso nel frutto della pianta della famiglia delle Pedaliaceae, genere Sesamum, specie Sesamum indicum. La pianta Sesamum indicum è originaria del subcontinente indiano e dell’Africa. Il sesamo è una pianta annuale, raggiunge 50, 100 cm di altezza, ha foglie lanceolate (a forma di punta di lancia), fiori bianchi e tubolari lunghi dai 3 ai 5 cm, semi che possono essere bianchi o neri secondo varietà e che si conservano semplicemente essiccati oppure anche tostati. Il sesamo bianco indica le varietà di sesamo con semi chiari, che di solito vengono essiccati e basta. Il sesamo nero è il nome per le varietà a seme scuro, varietà i cui semi hanno un sapore più marcato rispetto a quelle del sesamo bianco e che sovente sono anche tostati, caso in cui divengono ancora più saporiti. Il sesamo nero è un ingrediente pressoché esclusivamente orientale, in Europa si trova solo nella cucina greco-turca dove si chiama shamar (o mavro) e si aggiunge, insieme, col sesamo bianco, al pane. Altrimenti, dicevamo, è usato quasi esclusivamente nelle cucine dell’estremo oriente, infatti connota ricette cinesi, come la zuppa dolce di sesamo nero e i rotolini di gelatina di sesamo nero, e ricette giapponesi, come i sushi uramaki, dove viene usato per contornare la crosta dei maki (a volte insieme al sesamo bianco). C’è anche un sesamo italiano griffato, è il sesamo siciliano di Ispica, presidio Slow Food, introdotto in Sicilia dagli arabi ai tempi della loro dominazione dell’isola. Sull’isola si chiama giuggiulena o ciminu, si semina tra aprile e maggio e si raccoglie adesso, a inizio settembre, si usa sui pani per conferire croccantezza e ci si prepara la cobaita (o giuggiulena), un torrone festivo con miele, zucchero e sesamo come ingredienti di base, scorza di agrumi e mandorle come accessori. Il croccante di sesamo siciliano è sopraffino. Il croccante di sesamo si trova più facilmente, fuori di Sicilia, di produzione industriale, fateci caso, si trova come snack nei bar e al supermercato. Il sesamo è un po’ un ingrediente zelig che, come era per il personaggio ideato e interpretato da Woody Allen, si omologava al contesto. Quasi tutto il mondo lavora il sesamo, ogni dove a modo suo e nel mappare si rischia di diventare confusi come il fratello di Alì riguardo alla frase magica: in Corea i semi si usano per preparare piatti tipici, come il bulgogi e il sannakji. In Corea, ancora, Giappone, Cina e India ci si prepara l’olio. Scuro nei primi tre luoghi, chiaro nell’ultimo (vedere disamina più avanti). Nella cucina asiatica i semi di sesamo servono anche a preparare il gomasio (anche detto kantatsu), un insaporitore composto da sale marino e semi di sesamo tostati e pestati, a volte anche alghe. Si tratta di un insaporitore che rispetto al solo sale contiene meno sodio e quindi può aiutare chi soffre di ipertensione arteriosa, inoltre è rimineralizzante e antinfiammatorio per il contenuto di sesamina. Nella cucina giapponese è utilizzato talvolta sul riso lessato o sugli onigiri. Nella cucina mediorentale, invece, coi semi di sesamo si prepara la tahina, una pasta densa fatta di semi di sesamo e olio di sesamo, che fa da base ad altre preparazioni. Anche nota come tahin o tahini, la tahina è l’ingrediente di base per preparare l’halva, insieme col miele.Sembrano davvero magici questi semi del sesamo, ma bisogna sapere che il sesamo contiene alcune molecole allergeniche di natura proteica come Ses I1, Ses I2, Ses I3 e Bet v1. Esse possono scatenare una reazione allergica, sarebbe a dire che l’organismo riconosce come nemiche delle proteine in realtà innocue e perciò, attivando gli anticorpi IgE, le attacca, scatenando la reazione allergica. Con l’avvento recente del sesamo in Occidente, dovuto al fatto che mangiamo a tutto andare pietanze mediorientali o asiatiche di cui un tempo ignoravamo perfino l’esistenza, sono aumentati i casi di reazioni allergiche a questi semini. Se non si è allergici al sesamo, ci si può giovare delle sue caratteristiche salutari. Vediamole. Il sesamo, ricordiamocelo, è un seme oleoso, quindi calorico e grasso. Per 100 g di sesamo abbiamo 568 calorie. Grasso, abbiamo detto, è un seme oleoso, appunto, ma è un seme oleoso fatto di grassi buoni, perché contiene acidi grassi insaturi. I grassi insaturi si dividono in monoinsaturi, come l’acido oleico, contenuto nell’olio d’oliva, e polinsaturi, come gli acidi grassi omega-3 (presenti in pesce, noci e semi) e omega-6 (in oli vegetali e frutta secca), che dobbiamo assumere con la dieta: gli omega-3 hanno effetto antinfiammatorio e riducono i trigliceridi, gli omega-6 sono antinfiammatori e ipolipemizzanti (aiutano a ridurre il colesterolo). Nel sesamo poi troviamo fibre, proteine e vitamine, in particolare quelle del gruppo B che sostengono il sistema nervoso e aiutano il metabolismo. Ancora, sali minerali come il potassio (468 mg, alleato del cuore che previene stanchezza, debolezza muscolare, crampi e irregolarità del ritmo cardiaco), il fosforo (629 mg, essenziale per la salute di ossa e denti, la produzione di energia, l’equilibrio del pH, la crescita e la riparazione dei tessuti) e il calcio (975 mg, importante per la salute di ossa e denti, per la contrazione muscolare, per la coagulazione del sangue, per la trasmissione nervosa e per la regolazione della pressione sanguigna). Infine, in questi semi sono presenti anche diversi composti polifenolici, come la sesamina già citata, la sesamolina e il sesamolo, che aiutano a difendere l’organismo dallo stress ossidativo. Essi sembrano essere di aiuto, anche per le proprietà antinfiammatorie, anche nell’artrosi e contro la degenerazione cartilaginea: l’olio di sesamo, magari aggiunto di olio essenziale di rosmarino, è un buon olio per massaggi antidolorifici. Il modo migliore per giovarsi delle proprietà salutari del sesamo è sicuramente usare una manciata di semi sulle insalate, nello yogurt, nel pane. Oppure mangiare ogni tanto un croccante di sesamo, se possibile fatto con vero miele. O, se si vuole essere internazionali, usare il gomasio al posto del sale. Oppure si può mangiare ogni tanto un cucchiaino di salsa tahina. Ancora più semplice appare l’uso dell’olio di semi di sesamo, che però necessita di una disamina. Esso nasce nel VI secolo avanti Cristo, pensate, quando i ricchi assiri lo usavano come condimento, ma anche come unguento, in entrambe le concezioni con proprietà medicamentose. Pensate che ancora oggi si usa nella medicina ayurvedica per effettuare massaggi, anche sul cuoio capelluto: il massaggio con olio di sesamo in lingua hindi si chiama champo e pare che da questo termine derivi la parola shampoo, shampoo inteso come massaggio al cuoio capelluto per detergerlo, però, non per nutrirlo con l’olio. In Giappone l’olio di sesamo si usa per friggere la tempura cioè pesce e verdure in pastella. Per le proprietà antiossidanti che abbiamo già citato dovute ai lignani sesamolo, sesamina e sesamolina, l’olio di sesamo è un olio dalle importanti proprietà antiossidanti anche verso sé stesso, sarebbe a dire che non si autoossida, infatti i suoi lignani possono essere aggiunti ad altri olii per renderli più resistenti all’ossidazione nella fase di frittura. L’olio di sesamo chiaro, chiamato anche light, tipico della cucina mediorientale e dell’India, dove è anche detto til oil, deriva dalla spremitura a freddo dei semi chiari. L’olio di sesamo scuro, invece, ottenuto da semi tostati e usato nella cucina cinese e coreana e in generale asiatica, non è invece adatto alla frittura e si usa come insaporitore, una sorta di «salsa oleosa» per condire, in piccola quantità. 100 g di olio di sesamo presentano circa 900 calorie, tutte – ovviamente – da lipidi: 14,22 g di grassi saturi, 39,68 g di grassi monoinsaturi e 41,70 g di grassi polinsaturi (300 mg di omega 3 e 41,3 g di omega 6). 100 g di olio di sesamo apportano poi 1,42 mg di vitamina E e 13,58 µg di vitamina K. L’olio di sesamo è anche una fonte di fitosteroli come beta-sitosterolo, campesterolo e stigmasterolo. L’olio di semi di sesamo può ridurre i trigliceridi e il colesterolo nel sangue e contrastare l’ipertensione. Ha poi proprietà antiossidanti (grazie alla vitamine E) e grazie alla vitamina K aiuta ad evitare calcificazioni nelle arterie permettendo alle ossa di trattenere il calcio e svilupparsi correttamente prevenendo l’osteoporosi, la vitamina K è inoltre indispensabile per la coagulazione del sangue, processo che serve a riparare le ferite e a evitare emorragie (perdite di sangue). L’olio di semi di sesamo ha anche proprietà leggermente lassative. Domanda: è vero che il sesamo può aiutare in menopausa? L’affermazione si basa sul fatto che il sesamo contiene anche fitostrogeni, sostanze vegetali di struttura simile a quella degli estrogeni, gli ormoni che in menopausa la donna produce di meno. Sebbene di natura differente dai veri estrogeni, che sono ormoni presenti negli organismi animali e non in quelli vegetali, i fitoestrogeni sembrano mimare gli effetti degli estrogeni e, per esempio, diminuire gli effetti del loro calo come le vampate di calore, ma su questo ci sono opinioni discordanti perché per ottenere l’effetto degli estrogeni animali parrebbe essere necessaria una quantità abnorme di fitoestrogeni. Quindi prendete l’affermazione come relativa, non assoluta. Pare assodato, invece, che grazie al calcio e al fosforo il sesamo possa aiutare a contrastare la perdita di densità ossea che conduce all’osteoporosi tipica della menopausa (e dell’andropausa).

Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo

Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.

Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una “pensione di scorta” in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.

«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l’ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.

Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.

«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.

Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).

Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.

Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.

Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l’Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato “al momento sbagliato” e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.

La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L’offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.

Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.

La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l’importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.

«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».

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