Ci sono piloti che, pur avendo conquistato tutto – quattro titoli mondiali, un dominio quasi imbarazzante in Formula 1, l’adorazione di un pubblico che pende dalle loro traiettorie – sentono ancora il bisogno di sporcarsi le mani, di tornare all’essenza del correre. Max Verstappen, 27 anni, è uno di questi.

Non gli basta essere il re del circus ipertecnologico della F1, con i suoi circuiti levigati e le sue strategie al millesimo. No, Max vuole il Nürburgring Nordschleife, il leggendario “inferno verde”, una striscia d’asfalto lunga 20 chilometri e rotti, stretta come un sentiero di montagna, che sembra disegnata per mettere alla prova non solo l’abilità, ma l’anima di chi guida.

E così, mentre la Formula 1 si prende una pausa, Verstappen si presenta al Nürburgring Langstrecken-Serie, una gara di endurance che è l’antitesi del glamour patinato del suo mondo abituale. Niente Red Bull di F1, niente simulazioni al computer per ottimizzare ogni curva: qui si corre con una Porsche GT4 Cayman (per lui ironia della sorte depotenziata perché è ufficialmente un “debuttante”), una macchina che, rispetto alla sua monoposto, sembra un trattore. Eppure, Max non si scompone.

Ha dovuto frequentare un corso, sostenere un esame teorico – lui, che potrebbe tenere una lezione di guida bendato – per ottenere la licenza necessaria a correre su questo mostro sacro della velocità. Ieri la garetta affiancato da un giovane britannico, Chris Lulham, in una livrea che porta il suo nome: Verstappen.com Racing x Red Bull.

Come è finita la gara-test poco importa. La cronaca non conta nulla. Qui la notizia sta tutta nella voglia di uno come Verstappen di mettersi alla prova sul Nordschleife. Una pista impossibile che con le sue 73 curve, i suoi saliscendi e la sua storia di trionfi e tragedie, è un luogo che separa i piloti dai fenomeni.

Verstappen lo sa, e non a caso ha già messo a segno un giro record non ufficiale a maggio, su una Ferrari 296 GT3, durante un test. Ma per correre ufficialmente in quella categoria, la GT3, serve il “Permit A”, una sorta di patente speciale che il Deutscher Motor Sport Bund impone a tutti, anche ai campioni del mondo. Bisogna completare 14 giri e almeno il 20% di una gara, due risultati classificati. Regole severe, nate nel 2015 per costringere i piloti a conoscere il tracciato a bordo di auto più lente prima di lanciarsi nella mischia delle belve GT3.

Una scuola di umiltà, in un certo senso, che Verstappen sembra accettare con entusiasmo. “Correre non è solo il mio lavoro, è anche il mio hobby”, ha detto sul suo sito ufficiale. E in questa frase c’è tutto il succo della faccenda. Verstappen è un innamorato della velocità, uno che sogna di correre la 24 Ore del Nürburgring, di sfidare i grandi circuiti di endurance, di misurarsi con tracciati che non perdonano errori. Il Nordschleife, con la sua lunghezza esagerata e il suo layout d’altri tempi, è in cima alla sua lista.

“Estremamente impegnativo e demanding”, lo ha definito. E si capisce che per lui è una sfida personale, un modo per ricordarsi perché, da ragazzo, ha iniziato a correre. Bello. Bellissimo perché in un’epoca in cui il motorsport è sempre più tecnologia e sempre meno istinto, Verstappen sembra voler tornare indietro, al tempo in cui il coraggio e il talento contavano più della telemetria.

vincenzo.borgomeo@formulapassion.it