La pandemia di COVID-19 ha lasciato un segno profondo nella nostra società, ma ha anche aperto nuove strade nella ricerca medico-scientifica. Il vaccino a mRNA contro il coronavirus, sviluppato e distribuito in tutto il mondo in meno di un anno, ha rappresentato una svolta senza precedenti nella storia della medicina. Molti hanno percepito quel risultato come un miracolo tecnologico, frutto di una risposta straordinaria all’emergenza. In realtà, il successo dei vaccini a mRNA anti-Covid si è reso possibile grazie ad almeno un decennio di ricerca condotta in precedenza proprio nell’ambito oncologico, con l’obiettivo di sviluppare strumenti per la cura e la prevenzione dei tumori. Oggi, a distanza di pochi anni da quella esperienza, possiamo affermare che la stessa tecnologia che ha salvato milioni di vite durante la pandemia si sta rapidamente trasferendo dal campo delle malattie infettive a quello dell’oncologia. Si parla sempre più spesso di “vaccini terapeutici” e, in prospettiva, di “vaccini preventivi” contro il cancro. Per la comunità scientifica, per i pazienti e per la società civile, siamo di fronte a una vera e propria rivoluzione.

I vaccini a mRNA non contengono virus né frammenti proteici già pronti, come avviene nei vaccini tradizionali, ma utilizzano una sequenza di RNA messaggero che fornisce alle cellule dell’organismo le istruzioni per produrre un antigene specifico. In altre parole, è come consegnare un “manuale di istruzioni temporaneo” alle cellule, che imparano a produrre un bersaglio riconoscibile dal sistema immunitario.

I principali vantaggi di questa tecnologia sono:

  • Rapidità di sviluppo: l’mRNA può essere progettato in poche settimane partendo dalla sequenza genetica del bersaglio;
  • Flessibilità: è possibile modificare con facilità la sequenza per adattarla a diverse malattie e alla loro evoluzione nel tempo;
  • Personalizzazione: l’mRNA si presta a essere modulato sulle caratteristiche individuali del tumore o del paziente.

L’esperienza positiva del vaccino anti-COVID ha avuto due effetti decisivi:

  • Ha dimostrato la sicurezza e l’efficacia della tecnologia su miliardi di persone. Questo ha fugato molti dubbi e accelerato la fiducia della comunità scientifica, delle istituzioni regolatorie e dei cittadini;
  • Ha reso disponibili infrastrutture e competenze di ricerca e di produzione che oggi vengono riutilizzate e ampliate per sviluppare vaccini contro il cancro.

In breve, la pandemia ha funzionato come un acceleratore: ciò che sarebbe stato possibile forse tra vent’anni è diventato realtà molto più rapidamente. Il termine “vaccino” fa pensare subito alla prevenzione, ma nel caso del cancro l’applicazione più avanzata e promettente è oggi quella dei vaccini terapeutici. Questi vaccini non servono a prevenire l’insorgenza della malattia, ma a curare pazienti già ammalati, stimolando il sistema immunitario a riconoscere e attaccare le cellule tumorali. Il meccanismo è simile a quello dei vaccini tradizionali, ma con una differenza sostanziale: invece di insegnare al sistema immunitario a riconoscere un virus, gli si insegna a riconoscere una cellula tumorale già presente in quello specifico organismo, intervenendo sulla nota abilità dei tumori a sfuggire al sistema immunitario.

Sono in corso a livello internazionale diversi studi clinici, in particolare su:

  • Melanoma, dove i primi risultati hanno mostrato una riduzione significativa del rischio di recidiva;
  • Tumore del polmone non a piccole cellule, una delle forme più diffuse e difficili da trattare;
  • Carcinoma del pancreas, notoriamente resistente alle terapie convenzionali;
  • Tumori del colon e dello stomaco, con approcci fortemente personalizzati.

La prospettiva più affascinante è quella della medicina di ultra precisione: vaccini costruiti ad hoc per ogni singolo paziente, in base alle mutazioni specifiche del suo tumore. In questo modo la terapia diventa perfettamente personalizzata, con la possibilità di colpire la malattia in maniera mirata e ridurre gli effetti collaterali. I vaccini terapeutici rappresentano anche una nuova speranza per quei pazienti che non traggono sufficiente beneficio dalle terapie convenzionali, come la chemioterapia, la radioterapia o l’immunoterapia standard.

In prospettiva, però, un’ulteriore rivoluzione si va profilando, grazie ai vaccini preventivi contro il cancro. L’ipotesi in tal caso è di “allenare” il sistema immunitario di una persona sana a riconoscere e bloccare le cellule tumorali prima ancora che diano origine a una malattia clinicamente manifesta.

Si possono distinguere due categorie di vaccini:

  • Vaccini preventivi diretti, che mirano a mutazioni comuni a diversi tumori;
  • Vaccini preventivi indiretti, contro virus oncogeni come HPV (responsabile del tumore della cervice uterina e di altre neoplasie), HBV (cancro del fegato) o EBV (linfomi e carcinoma nasofaringeo).

Dal punto di vista della salute pubblica lo sviluppo di vaccini preventivi anticancro potrebbe avere un impatto straordinario per ridurre l’incidenza di forme tumorali diffuse, alleggerire i costi della sanità e spostare l’attenzione dall’urgenza e necessità delle cure all’efficacia e durabilità nel tempo della prevenzione.

Un capitolo particolarmente rilevante riguarda i portatori di sindromi ereditarie di predisposizione ai tumori. Si tratta di circa il 2,5% della popolazione, persone che hanno un rischio molto più elevato della media di sviluppare un tumore, spesso in età precoce e in organi specifici. Perché i portatori di queste sindromi rappresentano una popolazione ideale per i futuri vaccini preventivi?

  • Numero limitato: si tratta di un gruppo relativamente ristretto, quindi più facile da monitorare in termini di ricerca, sperimentazione, osservazione dei risultati;
  • Rischio elevato: la loro probabilità di ammalarsi è molto alta (da 2 a 40 volte di più della popolazione normale), il che rende particolarmente utile ed etico un intervento preventivo (rapporto costi/benefici);
  • Organi mirati: ogni sindrome ereditaria predispone a tumori in organi specifici, semplificando lo sviluppo di sperimentazioni e di strategie preventive mirate.

La comunità dei portatori di sindromi ereditarie guarda con grande interesse a questa opportunità. Molti pazienti e i loro familiari si sono già dichiarati disponibili a partecipare a future sperimentazioni. La Fondazione Mutagens, che da anni lavora per dare voce a queste persone, ritiene che il loro coinvolgimento sarà decisivo per accelerare lo sviluppo di vaccini oncologici preventivi. Naturalmente, la strada delineata non è priva di ostacoli. Alcune delle principali sfide sono le seguenti:

  • Eterogeneità dei tumori: ogni tumore è diverso, anche all’interno dello stesso organo;
  • Meccanismi di evasione immunitaria: le cellule tumorali hanno strategie sofisticate per sfuggire al sistema immunitario e si modificano continuamente;
  • Accesso equo: bisognerà garantire che questi vaccini non rimangano privilegio di pochi Paesi o di pochi pazienti, specie nei sistemi sanitari di tipo privatistico o misti, pubblico e privato, come quello italiano;
  • Sostenibilità economica: la produzione personalizzata è costosa, e sarà necessario trovare modelli di finanziamento e organizzazione adeguati.

Nonostante tali difficoltà, lo scenario è entusiasmante. In futuro potremmo immaginare:

  • Vaccini combinati con l’immunoterapia o con le CAR-T;
  • Programmi personalizzati per i portatori di sindromi ereditarie;
  • Una sanità pubblica in grado di passare da un modello basato sulla cura a uno basato sulla prevenzione.

In questo nuovo contesto, i vaccini a mRNA rappresentano più di una tecnologia: sono il simbolo di una medicina che diventa sempre più predittiva, preventiva e personalizzata. La rivoluzione dei vaccini a mRNA non è un sogno lontano, ma una realtà in rapido sviluppo. Dopo aver salvato milioni di vite umane durante la pandemia, questa tecnologia si prepara ad affrontare una delle sfide più grandi della medicina: il cancro. I vaccini terapeutici stanno già aprendo nuove prospettive di cura personalizzata per pazienti con malattie difficili da trattare. I vaccini preventivi, in particolare per i portatori di sindromi ereditarie, potrebbero in futuro cambiare radicalmente la strategia di contrasto ai tumori. Perché questo accada, serviranno ricerca scientifica, cooperazione internazionale, investimenti adeguati e un forte impegno etico e sociale. Ma servirà anche il contributo della società civile, delle società scientifiche e delle organizzazioni di pazienti come la Fondazione Mutagens, che possono diffondere una informazione corretta, consapevolezza e partecipazione dei cittadini. Se il XX secolo è stato quello della lotta ai tumori attraverso la chirurgia, la radioterapia, la chemioterapia, il XXI secolo potrebbe essere ricordato come quello dei vaccini anticancro a mRNA: una prospettiva rivoluzionaria che coinvolge tutti noi e che ci invita a guardare al futuro con speranza e responsabilità.