di
Michele Marangon

Latina, il padre di Paolo, suicida a 14 anni: «Valditara ci ha promesso chiarezza, spero sarà così»

LATINALa bara bianca e la foto di Paolo incorniciata sopra. Quella dove suona il basso, strumento che amava come la batteria, un’altra sua passione musicale. È una delle immagini che rimarranno impresse per sempre nelle menti della comunità di Santi Cosma e Damiano, in provincia di Latina, dove vive la famiglia del ragazzo che, nemmeno 15enne, si è tolto la vita un giorno prima di rientrare a scuola. Un gesto che i fratelli, papà Giuseppe e mamma Simonetta, attribuiscono a vari episodi di bullismo di cui era stato oggetto.

Signor Giuseppe, il ministro Valditara l’ha chiamata. Che cosa vi siete detti?
«È stato gentilissimo, all’inizio non avevo risposto perché non conoscevo il numero, poi mi ha mandato un messaggio. Ho apprezzato molto il gesto e le sue parole. Ci ha voluto rassicurare su quanto si sta facendo per fare chiarezza sulla vicenda di Paolo e sul bullismo in generale. Sono iniziate le verifiche nelle scuole frequentate da mio figlio, e sono già stato chiamato da un’ispettrice per un colloquio nei prossimi giorni».



















































Paolo era bravo a scuola?
«Era considerato tra i più bravi, aveva tutti 7 e 8, ma era stato rimandato in matematica per un 5. Io lo avevo fatto presente alla docente. Negli ultimi tempi, però, ripeteva: “Scuola di m.”. Noi gli siamo stati sempre vicini, i professori e la vicepreside sapevano degli atti di bullismo, ma non hanno fatto niente».

Quali sono gli episodi di bullismo che possono aver segnato suo figlio?
«Per tanti anni abbiamo segnalato quello che non andava. Già alle elementari avevamo presentato una denuncia ai carabinieri perché era bullizzato dalle maestre: addirittura un bambino si presentò con un coltello di plastica in classe dicendo che voleva ammazzarlo, mentre una maestra li incitava alla rissa. È tutto nero su bianco quello che dico».

È stato vittima di bullismo anche in seguito?
«Ci sono stati problemi alle medie, dove avevamo chiesto di inserirlo in classe con gli amichetti delle elementari, ma è stato isolato anche lì per volontà dei professori. Così abbiamo cambiato scuola».

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Che cosa è successo anche alle superiori?
«Lo prendevano in giro chiamandolo “Nino D’Angelo” perché portava i capelli lunghi e biondi, o “Paoletta”, perché aveva il caschetto biondo. Lui, se c’era un problema in classe, andava a riferirlo e poi lo accusavano di essere uno spione. Un’altra volta sono andato a parlare con i professori perché, dopo che due ragazzi avevano offeso una docente, a tutti era stato detto di scrivere una frase di scuse per quattrocento volte. Io non volevo che Paolo lo facesse, lui non c’entrava niente».

Com’era suo figlio?
«Paoletto, così lo chiamavano gli amici con cui andava a pesca, rispettava tutti, era educato, silenzioso, sorridente, non sopportava nemmeno le parolacce, gli piaceva tanto la musica. Per questo suo modo di essere veniva deriso».

Come sono stati gli ultimi giorni?
«Da un po’ di tempo ripeteva che non avrebbe voluto tornare a scuola. Però quella sera era tranquillo. Avevamo cenato tutti insieme, lui aveva fatto il pane. Poi è andato in camera sua, ha preparato lo zaino e scritto le materie che avrebbe dovuto portare sul diario. Non era triste, ma non sono sicuro se avesse scritto un messaggio ai compagni per dire di riservargli un posto in prima fila. Se lo ha fatto e poi si è tolto la vita, vuol dire che qualcosa è successo, deve essere successo per forza qualcosa. Da quello che sembra emergere dalle indagini, si sarebbe tolto la vita intorno alle cinque del mattino, lo stesso giorno del rientro a scuola. Non capiamo davvero il perché, siamo distrutti. Forse aveva premeditato tutto, ma non saprei. In questo momento siamo soltanto distrutti. Confusi e distrutti».


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16 settembre 2025 ( modifica il 16 settembre 2025 | 08:16)