di
Roberto Gressi
La «sfida» per Palazzo Chigi. E il timore che arrivi un terzo. I passi cauti dei due «concorrenti» e i tanti sgambetti del passato tra alleati
Prodi ci aveva creduto, dopo essere stato bocciato in Parlamento per un solo voto: bene, anzi male, ma adesso andiamo alle elezioni anticipate. Fu Massimo D’Alema a spiegargli che no, non si poteva lasciare il Paese allo sbando. Si sarebbe sacrificato lui, fare il premier è un duro lavoro ma qualcuno deve pur farlo. Lui che pure lo aveva cercato, il papa straniero, pregando il Professore di guidarli alle elezioni del 1996.
Matteo Renzi, nel 2014, non aveva voglia di aspettare le urne per andare a Palazzo Chigi, e buttò giù Enrico Letta, diventato a sua volta premier dopo le elezioni non vinte da Pier Luigi Bersani. Anche Nicola Zingaretti pare volesse la campagna elettorale, ma si acconciò a fare l’accordo con i 5 Stelle, tenendosi Giuseppe Conte, che aveva appena governato con Salvini, e che comunque in cambio rimpinzò il Pd di ministeri chiave.
Sgambetti, agguati e contropiedi sono comuni a tutti i partiti, ma è soprattutto in zona centrosinistra che, quando si tratta di guidare il governo, prevale il lato oscuro della Forza. Premessa: che lo chiamino campo largo o area progressista, sia la segretaria dei dem, sia il leader del Movimento, sono straconvinti che vinceranno le elezioni politiche prossime venture. Inutile spiegargli che ci sarebbe in gara anche una certa Giorgia Meloni, che non considera il suo governo una meteora. Macché, pensano che, legge elettorale alla mano, vinceranno nel Sud a mani basse, e alla fine avranno la meglio in tutta Italia. Rieccolo allora il tormentone: chi farà il candidato premier? Giuseppe Conte o Elly Schlein? E come guardarsi le spalle perché non spunti un terzo nome, che se ne sta al coperto, pensando al colpaccio, quando i due rivali si saranno logorati tra loro?
Per ora il passo è felpato, nessuno ha voglia di scoprirsi o di irritare i probabili futuri alleati, specialmente dopo aver portato a casa un accordo in tutte le Regioni che stanno per andare al voto, che li porta a dire, con ottimismo da campagna elettorale, che saranno loro i vincitori.
Il richiamo del Palazzo
Ma hai voglia se ci pensano, nessuno pretende ma nessuno si tira indietro. Uno dei due a Palazzo Chigi c’è già stato due volte, e lì si prende una febbre che non passa neanche con la penicillina, l’altra, a sua volta, non vede l’ora di pigliarla, quella malattia. Eccolo Giuseppe Conte: «Per me non sarà mai una questione di ambizione personale. Possiamo suicidarci oggi appellandoci a una regola che ci faccia individuare astrattamente un candidato che poi non è competitivo? Volete portarci alla sconfitta?». Dall’altra parte, se il presidente del Pd Stefano Bonaccini rivendica il diritto del suo partito a guidare l’alleanza, Schlein si fa flautata: «Non c’è un criterio per stabilire chi sarà il candidato premier. Se siamo una coalizione decideremo insieme».
Ecco, appunto, qual è il clima tra il popolo di Elly e quello di Giuseppe? Il leader dei Cinque Stelle è stato applaudito e quasi osannato alla festa dell’Unità di Reggio Emilia. Ma magari è come la parabola del figliol prodigo: ti cucinano il vitello grasso, sì, ma in realtà sei tu che sei tornato all’ovile, a fare la pecora. La segretaria dem invece è stata fischiata alla festa del Fatto, ma pure lì vai a sapere come funziona. Una volta, per risolvere le contese, c’era l’uovo di Colombo: le primarie di coalizione. Le vorrebbe Ernesto Maria Ruffini, che certo pensa all’esperienza di Prodi ed è alla ricerca di un ruolo per il centro, ma qui sia Elly che Giuseppe fanno muro, e vogliono sì con loro un’area moderata, purché però non pretenda di dare le carte.
A chi toccherà
Ma è soprattutto l’incognita sulla legge elettorale a generare dubbi e sospetti. Che succederebbe se si introducesse l’obbligo di indicare sulla scheda i candidati premier di coalizione? Per il centrodestra i giochi sono fatti, c’è Meloni. A sinistra la favorita sembrerebbe Schlein, con tutte le fibrillazioni del caso. Anche perché, continuando ad attaccarla, è proprio Giorgia a dare l’impressione di volerla come antagonista. Cosa che disturba una parte del Pd, che pensa che ormai la segretaria, dal punto di vista elettorale, abbia dato tutto e mostri un po’ la corda.
In aggiunta c’è anche un curioso sondaggio Dire-Tecnè. Viene fuori che quelli che votano centrosinistra preferiscono Schlein come candidata premier, mentre invece se si rivolge la domanda all’intero corpo elettorale la situazione si ribalta, e la spunta Conte. E quindi c’è chi pensa che i duellanti debbano darsi da fare per portare i voti, poi lo scettro può andare anche a un outsider. I nomi sono la metà di mille, ché tutti aspirano, ma i boatos raccontano pure delle ambizioni del sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi. Poi ne abbiamo di tutti i colori, compresa la staffetta, che non ha mai funzionato. In ultimo c’è un dettaglio, quasi insignificante, che però non può essere trascurato: dovrebbero vincere.
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16 settembre 2025
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