Su quel sedile si sarebbe voluto sedere Carlos Sainz, per dirne solo uno dei pretendenti concreti della monoposto che fino a qualche mese fa era guidata dal sette volte campione del mondo Lewis Hamilton.

E invece Toto Wolff ha deciso che quel telaio è destinato a un ragazzo di 18 anni compiuti da poco, accento bolognese, stretta di mano gagliarda.

Andrea Kimi Antonelli è il secondo pilota più giovane della storia a andare a punti in F1 (il primo è Verstappen, ndr) e a Melbourne si è giocato dei jolly enormi per dimostrare che la fortuna, con tutta evidenza, aiuta gli audaci, chiudendo 4° al debutto nel primo GP dell’anno in Australia.

Lo vedi muoversi così mingherlino, così parecchio più piccolo di chi gli sta intorno. Antonelli è uno di quelli che parla poco di idoli, ti dice più che altro come si fa per far andare forte la macchina, qualunque macchina, perché pare che sia uno di quei talenti “che farebbero andare anche una tosaerba” cit. di Toto Wolff. Dicono sia uno di quei piloti alla Dovizioso, un mezzo ingegnere, che ne sa parecchio di quale inclinazione dovrebbe avere un’ala, di pressioni, di set-up.

Andrea è già un adolescente un po’ speciale, è uno che ha superato prima l’esame della Super Licenza per correre in F1 dell’esame della patente. Si dice che siano un po’ tutti preoccupati della sua guida su strada, dato che negli ultimi anni si spostava a bordo di una di quelle macchinette per sedicenni comprata usata dal papà, e che ogni tanto andasse a farsi le convergenze perché non capiva come mai la vettura “non performasse nelle rotonde”. Andrea sembra una versione stradale di Jannick Sinner e se gli chiedi della F1 ti dice che si sveglia la mattina e ancora delle volte non ci crede che è proprio la sua vita, questa qui:

«È cambiato tutto molto negli ultimi mesi e mi rendo conto di come la F1 mi stia già creando problemi – scherza – perché è tutto nuovo anche per mia mamma che non sa più dove mettere i regali che mandano gli sponsor, così finisco per essere costantemente sgridato quando torno a casa»

Poi fate pace?

«Sì certo, anche se mi sono reso conto da poco che Maggie (sua sorella di 10 anni, ndr) la settimana scorsa ha risposto a dei giornalisti di essere figlia unica, di non essere mia sorella per non farsi fare domande, fai te».

Ride, Andrea.

Ti pesa tutto questo?

«Se non ti diverti, non ha senso fare questa vita. Certo che lo sport ad alti livelli prevede dei sacrifici, ma siamo dei privilegiati, guidiamo macchine da corsa intorno al mondo e se non riusciamo a trovarlo divertente, allora forse non stiamo vivendo davvero».

Si dice che sulla tua monoposto ci sia il #12 in onore del numero di Senna quando vinse il suo primo GP, giusto?

«Se penso alla persona che mi ispira forse non è un super eroe come Ayrton, credo sia più mio papà Marco. Le corse sono una cosa nostra, sento odore di benzina da quando ero piccolo».

Kimi Antonelli e il papà Marco

Kimi Antonelli e il papà Marco 

Sembra che ti faccia bene respirare gli ottani. È vero che l’estate scorsa hai smontato il pavimento del box durante una gara di kart? Sei uno di quei piloti ossessionati dalle gare?

«Ossessione è una parola che non mi torna se penso alla mia vita, smontavo il pavimento perché serviva una mano lì. Sono cresciuto in mezzo ai box, mi divertivo, cioè mi piace lavorare al box con mio papà: far andare meglio il kart, poi le GT, poi la Formula 4 era un gioco. Le gare non mi hanno mai tolto niente perché c’eravamo tutti in pista, ci lavoriamo tutti, anche mia mamma».

In effetti c’è chi dice che la cosa strana di questa stagione F1 sarà vedere padre e figlio Antonelli assieme senza che possano svitare qualcosa.

«Mio papà (che da sempre è Team Principal del team AKM, categorie dai kart alla Formula4, ndr) veniva in pista con la camicia bianca, ma poi si infilava sotto la macchina perché c’era una saldatura da fare, è vero! Anche se non credo che adesso in F1 potrà andare in giro per il box, ecco».

A parte cercare di non tirare nel muro monoposto da milioni di euro, quale è la parte più difficile di tutto questo, per te?

«Per gli incidenti sto cercando di imparare, ma succederanno, so che è una parte necessaria dell’apprendimento anche se sono mortificato quando succede, e anche se so che Toto mi ha detto che sono libero di guidare al limite».

Kimi Antonelli, Toto Wolff e George Russell

Kimi Antonelli, Toto Wolff e George Russell 

Sei sotto l’ombrello della protezione di Wolff, non fa che ripeterlo: puoi sentirti meno in colpa, forse?

«Per me non è facile gestire le emozioni, cerco sempre di non far vedere come sto nei momenti difficili. Adesso sono molto emozionato, anche se non sembra.

Sto imparando, Mercedes in questo è una seconda famiglia e mi supportano in modo concreto dai tempi del kart. La persona che sono oggi è in parte anche merito loro, questo tipo di fiducia è stata una svolta nell mia carriera».

In che senso?

«Sapere che loro ci sarebbero stati nel bene e nel male, mi ha dato confidenza a livello di testa. Serve di più nei momenti più difficili e loro c’erano, e poi ti aiuta a fare meglio, dopo, quando cresci e diventano momenti belli».

Le ragazze in F1: cosa ne pensi?

«Se ti siedi in macchina e sei veloce, sei un pilota, penso questo. Nel nostro team AKM sono ruotate quasi tutte le driver della F1 Academy, per i test, per migliorarsi venivano a fare chilometri con noi. Ho perso il conto di quante ragazze hanno corso con mio papà dal kart alle GT perché sono molte e sono veloci. Tra l’altro il mio babbo quest’anno sarà quasi tutto il tempo con me, e ha deciso di lasciare il Team di Formula4 in mano a Eleonora Pezzi, la Team Manager».

Non ho capito, la squadra corse di famiglia è in mano a una ragazza?

«Sì, se ne occupava anche prima, assieme a mia mamma Veronica. E a mio papà ovviamente, che però ha iniziato a essere più assente l’anno scorso con i miei primi test in F1, ma sapeva tutto anche da remoto, sapeva che temperatura aveva l’asfalto dove giravano i kart, per dire! Ne abbiamo parlato, sono sempre stato molto coinvolto nel team AKM, e siamo d’accordo sul fatto che faranno degli errori senza di lui, e che proprio per questo impareranno più in fretta a non farli più».

Kimi Antonelli con  Lewis Hamilton

Kimi Antonelli con Lewis Hamilton 

In un equilibrio divertente tra l’incredulità di avere davvero addosso una divisa da pilota ufficiale Mercedes e il proposito sfacciato di essere atterrato per rimanere, Andrea Antonelli si toglie la divisa che è costruita centimetro per centimetro sulla base del body scan Adidas, proprio come in un film futuristico, in linea con la F1 di adesso che ha aperto i box a Drive to Survive (la serie iconica di Netflix, ndr) e che attende l’uscita del film con Brad Pitt prodotto da Apple e Lewis Hamilton, per questo giugno.

Insomma, il Motorsport è di nuovo cool, dopo un’era geologica in cui si era deciso che i vapori della benzina e le scritte dei tabaccai fossero politicamente scorretti.

Dall’altra parte del box di Antonelli da Bologna, c’è un cliente scomodo, il primo problema serio di Andrea ha i modi gentili di Lord Brackley, alias George Russel, che dietro i suoi occhi verde acqua nasconde la fame genuina di un pilota caldo, lo sguardo di uno che sa di aver decantato il giusto, aspettato diligentemente in Williams, assorbito i trick che servono per diventare quello che sognavi da bambino spiando da un posto in seconda fila, particolarmente privilegiato.

E adesso Russel è pronto, il 2025 è una formalità, è la fine di un allenamento durato anni per arrivare ad appoggiare le natiche su una macchina che può vincere, per davvero.

Eppure.

Tutti quei dubbi che aleggiano da sempre attorno a Sir George, si sono verificati già dal primo GP, quando Russel ha scherzato – ma neanche troppo – sul suo compagno di box che gli darà del filo da torcere prima del previsto. Nella trama di questo film, siamo già un po’ tutti tifosi Mercedes e sta andando tutto come previsto da Toto Wolff: anche i ferraristi adesso hanno qualcos’altro di italiano per cui tifare. Dunque grazie ai tedeschi per averci cresciuto questo ragazzo italiano tra le frecce d’argento.