FIALS Milano: abolire il vincolo di esclusività nel comparto sanitario significa liberare 500 milioni di euro e 12 milioni di ore di assistenza pubblica in più ogni anno.

Nel Servizio sanitario nazionale lavorano circa 650.000 dipendenti non medici280.000 infermieri230.000 OSS e ausiliari e quasi 100.000 tecnici sanitari, ostetriche, terapisti, assistenti sanitari e amministrativi. Sono l’82% del personale in corsia, ma anche gli unici a cui lo Stato impone il divieto di qualunque attività retribuita fuori turno.

Il risultato è doppio: i professionisti rinunciano a reddito e motivazione, mentre lo Stato rinuncia a entrate fiscali, contributive e produttività.

Nel solo 2024 le aziende sanitarie hanno speso 1,1 miliardi di euro in straordinari e personale a gettone per coprire i buchi di organico. Nello stesso anno 13.000 infermieri hanno lasciato il pubblico, aggravando un vuoto strutturale che ha già superato le 65.000 unità. Ogni abbandono ha un costo: formare un nuovo infermiere richiede circa 85.000 euro, tra percorso universitario, affiancamento e inserimento. Quando se ne va un professionista esperto, il danno è molto maggiore, in termini di efficienza e qualità delle cure.

Basterebbe estendere al comparto ciò che già funziona per i medici. L’attività intramoenia della dirigenza medica ha prodotto nel 2023 oltre 1,2 miliardi di euro di prestazioni e almeno 360 milioni di IRPEF. Le aziende sanitarie trattengono in media oltre il 20% dei ricavi, generando margini che vengono reinvestiti in strutture, tecnologie, abbattimento delle liste d’attesa.

Se anche solo il 15% del personale del comparto – circa 100.000 operatori – potesse accedere alla libera professione regolamentata, con un reddito integrativo medio di 5.000 euro annui, lo Stato incasserebbe almeno 120 milioni di euro l’anno in imposte e contributi, mentre le aziende sanitarie pubbliche tratterrebbero circa 100 milioni in margini operativi. Il reddito integrativo generato nel sistema sarebbe pari a mezzo miliardo di euro l’anno, totalmente tracciato e tassato.

Ma c’è anche un enorme potenziale in termini di tempo-lavoro: con un impegno aggiuntivo medio di 120 ore l’anno per professionista, si libererebbero complessivamente 12 milioni di ore, l’equivalente di centinaia di migliaia di turni extra in reparto, ambulatorio o assistenza domiciliare. Una riserva di lavoro pubblico in grado di ridurre le liste di attesa specialistiche di almeno un quinto, senza aggravare il bilancio statale.

Oggi, invece, il vincolo di esclusività resta in vigore. “Ammorbidito” nel 2023 con un articolo vago del decreto bollette, applicato in modo disomogeneo e spesso arbitrario dalle Regioni, ha generato solo confusione, burocrazia e frustrazione. Gli operatori sono costretti a compilare autocertificazioni mensili, a subire autorizzazioni condizionate e a lavorare sotto il ricatto delle prestazioni aggiuntive. Nessuna indicazione chiara su aspetti assicurativi, previdenziali, deontologici.
350 dirigenti delle professioni sanitarie, infine, sono addirittura esclusi da ogni possibilità, come se il coordinamento avesse meno valore della medicina.

“Non si tratta di privilegi, ma di una scelta di buon senso e di convenienza per tutti”, dichiara Mauro Nobile, Segretario Generale FIALS Milano. “Lo Stato guadagnerebbe, le aziende risparmierebbero, i cittadini avrebbero più servizi, i professionisti più dignità. Non si capisce perché ci si ostini a mantenere in vita un vincolo punitivo, costoso, inutile e ormai fuori dal tempo.”

FIALS Milano chiede l’abolizione totale del vincolo di esclusività, l’accesso alla libera professione intramoenia per il comparto sanitario, con le stesse regole e percentuali previste per i medici. A chi sceglie l’esclusività, venga riconosciuta un’indennità reale, e non simbolica.
È una riforma giusta, pronta, sostenibile. Ed è una riforma che porta con sé oltre mezzo miliardo di euro l’anno, nuove ore di lavoro pubblico, più equità e più futuro per la sanità italiana.

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