La nazionale neozelandese maschile di rugby esiste dalla fine dell’Ottocento, e da 120 anni è però nota soprattutto con un altro nome: All Blacks, “tutti neri”. Gli All Blacks hanno vinto il 76 per cento delle loro partite e sono tra le squadre più forti e dominanti di sempre, non solo nel rugby. Anche a prescindere dai risultati, gli All Blacks sono ormai un simbolo, un brand che va oltre il rugby e pure oltre il mondo dello sport.

La fama degli All Blacks di squadra potente ed elegante – e un po’ anche il loro mito – iniziò 120 anni fa, con il primo viaggio della squadra nell’emisfero nord. Tra il 16 settembre del 1905 e i primi mesi del 1906 la nazionale neozelandese andò in Gran Bretagna, in Francia e negli Stati Uniti: in 35 partite segnò 976 punti e ne subì solo 59. Vinse spesso tanto-a-poco, mostrando una netta superiorità fisica e importanti novità tattiche. Perse una sola partita, 3-0, ma andò molto vicino a vincerla con una meta non assegnata che si tira spesso in ballo quando si parla della storia degli All Blacks. Soprattutto, fu proprio durante quel viaggio che si diffuse il nome All Blacks.

In Nuova Zelanda il rugby era arrivato negli anni Settanta dell’Ottocento, portato dai britannici che ci giocavano già da qualche decennio. Sebbene all’inizio ci giocassero soprattutto persone di origine europea, ebbe successo anche tra i maori, la popolazione polinesiana arrivata in Nuova Zelanda diversi secoli prima degli europei. La federazione rugbistica nazionale (NZRFU) fu fondata nel 1892, quando già da qualche anno c’erano state partite – quasi tutte vinte in modo netto – giocate da una “selezione nazionale” dei migliori giocatori neozelandesi, in genere contro squadre locali o australiane.

Al tour nell’emisfero nord del 1905 parteciparono 27 giocatori e due allenatori: uno dei due, George Dixon, raccontò poi quel viaggio in un libro. La maggior parte erano neozelandesi pakeha (come i maori chiamano i neozelandesi di origine europea), solo due avevano origini maori. Il 30 luglio partirono in barca da Wellington, in Nuova Zelanda, e il 6 settembre arrivarono nel porto inglese di Plymouth. Il 16 settembre giocarono la prima partita, vinta 55 a 4. Nei primi resoconti alcuni giornali pensarono che quel risultato fosse un errore: qualcuno scrisse che era finita 5-4, qualcuno 55 a 51 (cioè 55 meno 4).

Abituati a partite più lunghe di quelle giocate in Europa, i neozelandesi vinsero anche le successive cinque contro squadre di altre città: sempre facendo decine di punti e senza subirne nemmeno uno. I britannici già sospettavano che la Nuova Zelanda potesse essere molto forte a rugby: perché sapevano che avevano vinto contro forti squadre australiane e perché alcune squadre britanniche erano già state in Nuova Zelanda, pur senza mai giocare contro la nazionale neozelandese.

Ma i giocatori di quella prima nazionale neozelandese di rugby – poi noti come “The Originals”, gli originali – si rivelarono assai più forti di ogni previsione. «Presi da soli sono superlativi, come collettivo sono inarrestabili», scrisse di loro un cronista dell’Athletic News. Il libro The Story of the All Blacks racconta che il dominio fu tale che un neozelandese riuscì a giocare un’intera partita senza mai perdere il cappello.

Ancor più che per le qualità fisiche i neozelandesi si fecero notare per l’organizzazione e la pulizia del loro rugby, per un nuovo modo di stare in campo. Stare in campo in senso letterale, visto che i neozelandesi giocavano con ruoli diversi e nuovi: come presentarsi a una partita di calcio avendo inventato i mediani o i trequartisti.

Come racconta Peter Freeman nel podcast La favola del Rugby, gli Originals esportarono «un nuovo modo di interpretare il rugby, un rugby meravigliosamente organizzato».

Gli Originals facevano già l’haka, la celebre danza maori usata in momenti di celebrazione o di cordoglio che la nazionale neozelandese esegue abitualmente prima delle partite. E giocavano già vestiti di nero, con l’eccezione di una riga sui calzini e del simbolo della felce sulla maglia: cosa che portò certi giornalisti a iniziare a definirli “All Blacks”. L’altra storia per spiegare l’origine del nome è quasi di certo una leggenda, alimentata dal racconto fatto anni dopo da uno dei giocatori. Disse che un giornalista aveva scritto che i neozelandesi sembravano tutti all backs (cioè che sembravano giocare tutti nel ruolo offensivo di backs, trequarti) e che un refuso portò a scrivere all blacks.

Un’illustrazione del 1905 di Edward Frank Gillette (Wikimedia)

Dopo diverse settimane passate in Inghilterra gli Originals andarono in Scozia, Irlanda, Galles e Francia, e infine per alcune ultime partite negli Stati Uniti. Tranne che negli Stati Uniti, dove fecero giusto due partite a fine viaggio, in California, gli Originals giocarono sempre sia contro squadre locali che contro le squadre nazionali. Vinsero 15-0 con l’Inghilterra, 15-0 con l’Irlanda, 12-7 con la Scozia, 38-8 con la Francia.

Le vinsero tutte tranne una, quella contro il Galles del 16 dicembre 1905. Gli All Blacks ci arrivarono dopo 28 vittorie, forse un poco stanchi. E si sapeva che sarebbe stata una partita complicata: i gallesi erano considerati i migliori al mondo, almeno nella loro metà di mondo, motivo per cui la partita fu presentata come una sorta di finale mondiale. Fu anche presentata come “partita del secolo”, cosa comunque non granché significativa considerato che quel secolo era iniziato giusto una manciata di anni prima.

Un’illustrazione del 1905, che fa ben capire chi era dato per favorito

Così come altre partite di quel tour, anche Galles-Nuova Zelanda si giocò davanti ad alcune decine di migliaia di persone: in questo caso circa 47mila. Come suggerisce il punteggio fu una partita molto equilibrata. Il Galles fece i suoi 3 punti con una meta nel primo tempo (ora ne varrebbe 5). Nel secondo tempo la Nuova Zelanda andò vicinissima a una meta, che le sarebbe valsa quantomeno il pareggio e forse anche la vittoria (se dopo la meta fosse riuscita a segnare il calcio di trasformazione).

Per fare meta bisogna appoggiare la palla oltre la linea: i neozelandesi, compreso Bob Deans, che la teneva in mano, dissero che fu così; i gallesi negarono. L’arbitro – scozzese e a quanto si scrisse non particolarmente in forma – era rimasto a decine di metri dall’azione: decise che non era meta. La storia del rugby è piena di racconti e resoconti (comprese presunte ammissioni in punto di morte) dei diretti interessati, tra chi dice che non fu meta e chi dice che lo fu, e che anzi mentre l’arbitro si avvicinava i gallesi spostarono giocatore e pallone di qualche determinante centimetro. Ancora oggi capita che quella meta salti fuori quando si parla della sempre intensa rivalità tra Galles e All Blacks, che dal 1953 in poi hanno vinto tutte le partite giocate contro i gallesi.

Un quarto di secolo dopo gli Originals un’altra nazionale di All Blacks fece un viaggio simile. I giocatori di quel tour divennero noti come Invincibles, gli invincibili: vinsero 32 partite su 32, compresa quella contro il Galles.

In questi giorni agli All Blacks va un po’ peggio: il 13 settembre hanno perso 43-10 contro il Sudafrica in una partita del Rugby Championship, il torneo tra le più forti nazionali dell’emisfero sud. In termini di punti è stata la peggior sconfitta nella storia della squadra.