di
Fabrizio Roncone
È la possibile concorrente per Schlein, Renzi stravede per «Silvia». E lei fa il verso a Meloni: sono madre, sono cattolica, sono moglie
I neuroni di Giorgia Meloni ed Elly Schlein, per ragioni diverse, sono al lavoro sulla stessa segnalazione di pericolo imminente: tenere d’occhio questa Silvia Salis. Controllare cosa dice, come lo dice. E dove va. Quando, perché. Curiosità strazianti. Dentro una domanda ad alto potenziale drammaturgico: sul serio la tipa ha già messo nel mirino l’ambita poltrona da premier a Palazzo Chigi?
Indizi: a 6 anni sognava di diventare sindaco di Genova. A 40 esatti (oggi è il suo compleanno), in città gira davvero con la fascia tricolore, il Comune restituito al centrosinistra nel maggio scorso dopo una campagna elettorale travolgente, non scontata, compatta, seria, credibile al punto da diventare un modello.
Retroscena: Salis sarebbe stata individuata come ideale federatrice di un nuovo «centro» che guardi a sinistra, riformista, con attenzioni specifiche alle esigenze del mondo cattolico e a quello delle imprese, attento a contrastare certe campagne destrorse del governo e, però, poco incline a seguire alcune sfrenate passioni per i diritti civili. A dirigere i lavori per la costruzione di questo soggetto politico, come si sa, c’è Matteo Renzi. Che «per la Silvia», letteralmente, stravede. La immagina dentro un percorso identico al suo: da primo cittadino a presidente del Consiglio, bruciando tappe e avversari. Nel caso specifico: avversarie. Dario Franceschini, che pure lavora allo stesso progetto nella penombra dell’officina trasformata in ufficio, quartiere Esquilino, Chinatown romana, approva l’identikit della prescelta, ma suggerisce: «Prima, però, facciamole almeno fare per un po’ il sindaco».
Lei, di solito, reagisce così: «Preferisco essere chiamata sindaca. Se comunque sindaco vi piace di più, tranquilli: mi volto lo stesso».
Comprensibili, le preoccupate suggestioni diffuse tra chi siede a Palazzo Chigi (Meloni) e chi lavora per andarci (Schlein): Salis è tosta e ambiziosa, testardamente ambiziosa e fresca, nuova, sicura, brillante, furba, bella, bionda, spregiudicata, spavalda e competitiva (dieci titoli italiani, due Olimpiadi e tre mondiali: lanciava con il martello, sport di una noia mortale, tutta fatica e forza bruta, ma — appunto — ci sarà un motivo se non ha scelto danza). In più: è consapevole d’essere diventata subito personaggio. E di possedere un talento mediatico non comune (francamente notevole davanti alle telecamere: sempre con frasi corte, nette, con concetti tondi, mai un’incertezza, il dono di apparire spontanea). Il dettaglio non sfugge a Elly (che ha da poco cominciato ad essere più disinvolta in tv). E nemmeno a Giorgia, già fuoriclasse del palco. Ricordate? «Sono donna, sono cristiana, sono madre!». Uno slogan che divenne tormentone rap, gospel politico. Ma adesso c’è lei, la Salis, che — addirittura — le fa il verso: «Sono madre, sono cattolica, sono moglie!».
Di Fausto Brizzi, regista famoso e suo fan scatenato («Il consiglio che mi ha dato Fausto? Essere chiara nei messaggi»). Hanno un figlio: Eugenio, 23 mesi, che porta il cognome della madre. Scelta non banale. Come un po’ tutto il Wikipedia di Silvia: che inizia con la mamma Tamara, impiegata comunale, e il padre Eugenio, storico militante comunista e custode dell’impianto d’atletica Villa Gentile, nel quartiere genovese di Sturla («Una sera, da neopatentata, rimasi senza benzina. Lui arrivò in soccorso con una tanica e mi disse: «Ricordati che sei figlia di un operaio, nella vita non puoi permetterti di essere imbecille»). Consigli. E destino. Quando lascia l’attività agonistica, Silvia diventa vicepresidente vicario del Coni. Un’intuizione di Giovanni Malagò. Che però resta abbastanza sorpreso — diciamo così — il giorno in cui nel frullatore acceso per la sua successione compare il nome di Silvia e lei invece di dire no, beh, scusate, c’è Giovanni, non scherziamo, lascia che il nome rotoli in giro, perché non si sa mai. «Sono la dimostrazione vivente — ammette — che lo sport è il primo ascensore sociale del Paese». Malagò, signorilmente, finge di non accorgersene e la spedisce a Riad, dove si tiene la finale per la Supercoppa italiana di calcio e dove arriva pure il presidente del Senato, Ignazio La Russa (tifoso interista). Eccola perciò che, raggiante e disinvolta, si aggira tra i tavoli: per poi decidere di dimostrare tutto il suo talento pure nel lancio dei bigliettini da visita. Marco Bucci, da sindaco di Genova per il centrodestra, la premia come «ambasciatrice della città». Lei, a Rep, dice: «Prima ero la candidata perfetta per la destra, poi sono diventata una pericolosa estremista con falce e martello». Nel 2023, il Fatto la intervistò: qual è l’accusa che le rivolgono maggiormente? «Che sono una stronza». In realtà ha capito che in politica conta solo arrivare primi. La medaglia d’argento non esiste.
«Mi sveglio alle 6,30 e resto sul tapis roulant un’ora: corro per 10 chilometri e leggo i giornali». In forma smagliante, capelli sciolti, un’eleganza banale e rassicurante, distante dai tailleur Armani di Meloni e dalle giacche sui toni pastello che l’armocromista sceglie per Schlein: finora non ha sbagliato mezza mossa. Un colpo a sinistra, uno al centro. E ogni volta che parla e si gira (ovunque, tra gli applausi): come se spiegasse il personale programma politico.
A Sant’Anna di Stazzema («Il fascismo è un mutaforma»). Nelle Marche da Matteo Ricci («I moderati devono consolidare il loro campo»). Poi accoglie Roberto Saviano al teatro Politeama. Sfila al Gay pride. Allestisce una giunta rosa: 7 donne su 12. La sua amministrazione registra 11 figli da coppie di donne. Quindi va alla Festa dell’Unità di Reggio Emilia e parla di «sicurezza» (argomento caro a Matteo Salvini) e urla che bisogna «vincere!» (verbo dal rimbombo fascista che, a sinistra, è impronunciabile). Rende omaggio alla Flotilla diretta a Gaza. Aprirà la prossima Leopolda renziana.
Non è un underdog. E l’abbiamo vista arrivare. Così torniamo alla domanda iniziale: che cos’ha in mente? Sensazione precisa: la sua partita è di prospettiva. Tradotto: la sfida è con Giorgia Meloni. Le eventuali primarie di coalizione del centrosinistra (con dentro lei, Schlein, Conte, uno di Avs e lo Scalfarotto di turno) qualora dovesse cambiare la legge elettorale, e fosse necessario indicare il nome del candidato premier prima delle elezioni, possono essere un passaggio importante. Forse. Chissà.
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16 settembre 2025 ( modifica il 16 settembre 2025 | 22:18)
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