In divisa militare, al poligono di Mulino a Nizhny Novgorod, circondato da soldati. Le immagini di Vladimir Putin che assiste alle esercitazioni russe-bielorusse Zapad 2025 hanno fatto in una manciata di minuti il giro del web alzando ulteriormente il tasso di tensione che si respira al confine orientale dell’Ue.

Di contro, l’encefalogramma dei colloqui di pace tra Mosca e Kiev è piatto e lo schema delle nuove sanzioni, complice l’ambiguità di Donald Trump, molto confuso. A muoversi, non a caso, è Volodymyr Zelensky. Il presidente americano prenda “una posizione chiara” su sanzioni e garanzie di sicurezza, lo ha sferzato il leader ucraino che, secondo quanto riferito dal segretario di Stato Marco Rubio dovrebbe avere un tête-à-tête con il tycoon la prossima settimana. Per Mosca non è il tempo delle mani tese.

Le esercitazioni russe-bielorusse, dispiegate in 41 campi di addestramento, sono state seguite in prima persona dallo Zar. “Centomila” sono i soldati che hanno partecipato alle esercitazioni in 41 campi di addestramento, ha sottolineato Putin. Numeri smentiti dall’agenzia di stampa statale Ria Novosti, secondo cui le manovre hanno coinvolto “oltre 50.000 militari nella Federazione Russa e fino a 7.000 militari in Bielorussia”.

In questo contesto il ruolo di Trump resta dirimente. L’intenzione di Trump di mettere fine alla guerra deve tradursi in “passi decisivi”, ha sottolineato Zelensky, andando poi dritto al cuore della questione delle sanzioni. Trump, ha detto, è “abbastanza forte per prendere decisioni da solo”. Senza aspettare quindi che Turchia, Ungheria e Slovacchia smettano di acquistare gas e petrolio russi.

Ma la risposta del tycoon non è stata troppo conciliante: Il presidente ucraino “dovrà arrivare ad un accordo”. Nei giorni scorsi, Trump aveva scompaginato le carte con la sua richiesta ai Paesi Nato di azzerare gli acquisti di petrolio e gas dalla Russia in cambio del via libera alle sanzioni contro Mosca. Una richiesta difficile da soddisfare, soprattutto non nell’immediato.

C’è il caso della Turchia, un Paese Nato che importa il 57% del petrolio da Mosca. E ci sono i malumori di Slovacchia e Ungheria che godono di speciali deroghe in quanto Paesi senza accesso al mare e in ragione dell’ancora forte dipendenza dal petrolio russo. “Non accetteremo mai una soluzione che metta a repentaglio la sicurezza dell’approvvigionamento dell’Ungheria” ha ancora tuonato Budapest, secondo cui “gli Usa comprendono la situazione particolare di Ungheria e Slovacchia e, per alcuni aspetti, dimostrano maggiore comprensione di quelli europei”.

Il pressing americano sull’Ue, non ultimo quello relativo ai dazi “punitivi” a Cina e India per “rompere la stretta” su Mosca, ha creato non pochi imbarazzi a Bruxelles che ha rinviato la presentazione, attesa per mercoledì, del diciannovesimo pacchetto di sanzioni alla Russia. “Non abbiamo mai annunciato una data, quindi non vediamo alcun ritardo” si sono schermati da Palazzo Berlaymont.

A premere sull’acceleratore è Varsavia, rimasta ancora una notte col fiato sospeso per un drone intercettato mentre sorvolava su alcuni edifici governativi della capitale. E se il premier Donald Tusk ha invitato alla calma non escludendo che si sia trattato di una “provocazione involontaria”, da Bruxelles il suo vice ministro per gli Affari europei Ignacy Niemczycki, è tornato sulla notte tra il 9 e il 10 settembre.

L’incursione dei droni, ha avvertito, è parte di “una più ampia tattica di minacce ibride della Russia” corredata di sabotaggi e campagne di disinformazione. Rispetto alla quale la risposta non può che passare da sanzioni più forti.

Riproduzione riservata © Copyright ANSA