di
Francesco Battistini

Colpi da terra, cielo e mare: oltre cento morti nel primo giorno della nuova offensiva. Preso il 40% della capitale e roccaforte di Hamas, ma ci vorranno mesi per il controllo totale. «Non ci diamo limiti di tempo»

DAL NOSTRO INVIATO
TEL AVIV – Per tetto, il cielo. Per meta, il nulla. Scappare da Gaza City costa 250 dollari al chilometro, se si vuole saltare su un furgone scassato e strapieno che va verso sud. L’altra notte, Hosni Hawa s’è preso in braccio i bambini ed è uscito. Soltanto coi vestiti, a piedi. «Pioveva fuoco dappertutto», racconta al canale arabo di Radio Alshams, da dove lo chiama un giornalista suo cugino. Ha poca batteria: «Abbiamo camminato nel buio, le esplosioni dietro di noi. Andavamo dove ci dicevano i volantini». Sono i foglietti che Tsahal, l’esercito israeliano, butta su tutti quelli che hanno deciso d’andarsene. Volteggiano nell’aria, scavalcano i muri di filo spinato, arrivano fino al lungomare di Ashkelon: «Cittadini di Gaza — c’è scritto in arabo —, restare in quest’area è molto pericoloso! Se andate verso sud, a Mawasi, troverete tende, acqua e cibo!». 

Israele-Hamas, le notizie in diretta



















































Sono fuggiti in 370mila, altri 600mila ancora non si sa. Fino all’alba, nemmeno Hosni voleva andarsene. Ma quand’è cominciato il diluvio scatenato dai Carri di Gedeone, «la terra tremava dappertutto e i miei due bambini piangevano troppo», s’è incamminato anche lui. «Tutti vorrebbero scappare, tutti han capito che è finita. Ma non possono. Non hanno soldi. Dirigersi verso sud è difficile». Troppo caro, prendere il furgone: chi ce li ha, 1.500 dollari per fare sei chilometri? Solo i pescecani che fanno soldi col mercato nero, qualche capetto di Hamas. «Non c’è più un posto sicuro a Gaza City — dice Hosni —, ma nemmeno fuori. Ogni quartiere è un bersaglio. Tutte le case sono sotto tiro». E allora si parte senza niente, verso il niente.

Città in fiamme

Gaza delenda. Sparta impera. Il mattino ha il fuoco in bocca ed eccitato, mentre il palestinese Hosni cammina disperato nelle fiamme, il ministro della Difesa Israel Katz si sveglia presto e nella furia dell’attacco suona la sua cetra su X: «Gaza sta bruciando!», insieme con una foto dei roghi sui tetti. Passa in rassegna la 162esima e la 98esima Divisione, quelle che sono entrate nell’inferno di mezzanotte. Saluta la 99esima, che deve coprire la zona cuscinetto fra la Striscia e il territorio israeliano. Elogia la Divisione «Gaza» che pattuglia dalla parte di Rafah, verso l’Egitto. Annuncia che presto entrerà anche la 36esima e che sono stati richiamati 60mila riservisti, da aggiungere ai 70mila che erano già stati arruolati. 

Allori e trionfo. Ma nessun accenno alle migliaia di ragazzi renitenti a una guerra che considerano troppo sporca: «Il tasso di partecipazione è stato altissimo, fra il 75 e l’85% in quasi tutte le unità. Questo significa che s’è capito il perché di questa missione». Katz è soddisfatto: «Non cederemo, né torneremo indietro! Vogliamo prendere il controllo di Gaza City, perché è il simbolo del governo di Hamas. I fratelli assassini Sinwar — esclama, riferendosi ai due capi islamici che sono stati uccisi, Yahya e Muhammad — hanno rovinato Gaza City. I palestinesi lo sanno. Se ora cade Gaza City, cade anche Hamas». E se alla fine Hamas non rilascerà gli ostaggi e non si disarmerà, tutta «Gaza sarà distrutta».

«Avanti per mesi»

Il 40% della città è preso. Due-tremila miliziani di Hamas sono ancora da stanare, ed è plausibile che molti cerchino d’uscire da Gaza City nel fiume degli sfollati. Ci vorranno diversi mesi per controllare tutt’intero il capoluogo, prevede un portavoce dell’Israel Defense Force, «e altri mesi per il resto delle infrastrutture: non ci diamo limiti di tempo». Quel che, realista, il capo di stato maggiore ha detto fin dall’inizio al premier Bibi Netanyahu: «Da comandante — commenta il generale Eyal Zamir —, era mio dovere presentare tutti i rischi e le opportunità». Ora, «il ritorno dei nostri ostaggi è un obiettivo di guerra e un impegno nazionale e morale. La minaccia è cambiata, ma siamo cambiati anche noi: siamo più preparati». Nessun dietrofront, nonostante le perplessità dei militari. È un generale allineato e coperto: «L’Idf è l’esercito del popolo, questa è la sua fonte di forza: serve il popolo e agisce per il suo bene. Questa è un’operazione di cruciale importanza». E i crimini di guerra? «Abbiamo aperto vie di fuga per evacuare la popolazione», chiosa Netanyahu. «Operiamo secondo il diritto internazionale — argomenta Zamir — e stiamo facendo tutto il possibile per impedire danni ai civili. In questa campagna, agiamo per sconfiggere un’organizzazione terroristica che dichiara da ogni piattaforma che il suo obiettivo è quello di eliminare l’esistenza dello Stato d’Israele».

Decine di morti

Centosei morti, racconta Al Jazeera: uno ogni quarto d’ora. Diecimila bambini che hanno bisogno di cure urgenti solo a Gaza City, denuncia l’Onu: perlopiù, ridotti a scheletri da mesi di carestia. «Quel che avviene è moralmente, politicamente e legalmente intollerabile», è basito il segretario generale dell’Onu, António Guterres: «Denuncerò alla Corte penale internazionale questa terribile situazione». Con quest’operazione, dice il vicino Egitto, siamo «sull’orlo d’una nuova fase di caos totale».

«Chiedevamo solo una soluzione umana a una situazione disumana», dice padre Ibrahim Faltas, vicario della Custodia di Terrasanta. A metà mattina, nella parrocchia della Sacra Famiglia, arriva una telefonata a padre Gabriel Romanelli: è papa Leone, che vuole sapere che notte è stata per i 450 rifugiati nella chiesa. «La situazione è già da tempo che va male –— spiega il parroco —, ora sta diventando molto peggio. Si sentono tanti rimbombi a ovest della città, e noi per fortuna siamo a est. Noi non abbiamo molto. Ma quel che abbiamo, lo distribuiamo». Pane e acqua, qualche medicina, la messa tutti i giorni, le suore di Madre Teresa assieme ai disabili più gravi che non possono fuggire da nessuna parte. «Servirebbero delle ambulanze», introvabili in tutta la Striscia. Nel buio, qualche lampo: s’è riusciti a celebrare un matrimonio, dice padre Gabriel, e prima delle bombe è nato anche un bambino.

16 settembre 2025 ( modifica il 17 settembre 2025 | 08:36)