È stato Mario Guaraldi, l’editore rivoluzionario, ad incarnare le fotografie di Marco Pesaresi nelle parole di Pier Vittorio Tondelli. L’edizione di Rimini, “Il romanzo vent’anni dopo”, a cura di Fulvio Panzeri, stampata da Guaraldi nell’estate del 2005, alterna le fotografie di Davide Minghini e i ritratti tondelliani di Fulvia Farassino, alle immagini, prepotentemente spudorate, di Pesaresi. Un colpo di genio paradossale: Tondelli nasce nove anni prima di Pesaresi e muore quando il fotografo riminese ha appena fatto il suo ingresso in Contrasto. È una specie di passaggio del testimone tra generazioni affini e inavvicinabili: Tondelli muore a metà dicembre del ’91, tre settimane dopo Freddie Mercury. La sua morte segna la fine di un’era. La morte di Pesaresi, invece, sempre in dicembre, dieci anni dopo Tondelli, inaugura una nuova era, brutale: l’Undici settembre del 2001, il World Trade Center di New York viene sbriciolato da due Boeing 767; alla guida, un manipolo di affiliati ad Al Qaida. La Storia fa una brusca virata, indossa il sudario.
Da Pesaresi a Tondelli: una specie di inseguimento.
Non c’è sconcezza negli scatti di Pesaresi, ma l’arcana sensazione di vivere nell’ultimo fuoco, un passo prima della cenere. Si passa, cioè, dal gioco al rito: i corpi fotografati da Pesaresi sono corpi donati, sono corpi perdonati, corpi sacramentali. Un rogo di corpi. A volte, ci si spoglia come si indossa un saio – o uno chador. Al contrario, negli anni Ottanta eletti a idolo da Tondelli, i corpi si rovesciano come acqua: uno scroscio di corpi di cui non resta altro che il vuoto, l’eco, il coccio del coccige. Ci si sveste per rivestire un vuoto, il nulla.
I corpi di Pesaresi, i corpi degli anni Novanta, sono corpi noir, sono corpi da notte oscura, corpi che ci falciano come un’accetta. Poco dopo, la mania turistica si sposterà dalle discoteche – Mecca bacchica, il tempio dove si consuma l’estasi, l’uscita da sé, svaginando le Baccanti in ‘cubiste’ – alle sagre, il culto di un amarcord da educande. Anche Tondelli si era accorto, poco prima della dipartita, di questa mutazione dell’essere – la Storia non è rettilinea: è un rettile. Nel 1990, per la mostra “Ricordando Fascinosa Riccione”, PVT scrive un saggio esemplare, Cabine! Cabine!, che raccoglie le “Immagini letterarie di Riccione e della riviera adriatica”. In sostanza, pressoché dal nulla, Tondelli fonda un immaginario della riviera, costruisce una poetica della Romagna. In mezzo, ci sono Mussolini e Pasolini, Filippo De Pisis e Raffaello Baldini, Giorgio Bassani e Sibilla Aleramo, ma anche Alberto Arbasino, Mario Luzi, Dante Arfelli, Valerio Zurlini. Su tutto aleggia un senso di disincantato incanto – uno schianto.
Ma torniamo a Rimini. Tondelli giurava di aver scritto “il mio libro più ambizioso”; nelle pubblicità – plateali – Rimini era presentato come “Il romanzo dell’estate”: ne parlarono tutti, non per forza bene. A Enrico Regazzoni, su “Linus” (luglio, 1985), Tondelli disse di essersi ispirato a Raymond Chandler e a Francis Scott Fitzgerald, a Vito Bruno (“Reporter”, 4 giugno 1985) di aver “fatto solo del rock and roll”, a Michele Trecca (sulla “Gazzetta del Mezzogiorno”, 28 giugno 1985) che “Esiste un establishment letterario (quello dei premi, delle pagine culturali dei giornali, dei professori, degli accademici) che, accecato dai propri fasti, da una cultura ottocentesca, non riesce a vedere il nuovo, non è assolutamente in grado di vedere il nuovo”.
Il nuovo professato da Tondelli spaventò i vecchi mestieranti del verbo. Il 23 giugno del 1985 Pier Vittorio Tondelli avrebbe dovuto partecipare a “Domenica in”, portando Rimini in tivù: l’incontro saltò all’ultimo minuto. I giornali diguazzarono nel torbido (così la “Gazzetta di Reggio”: Tondelli censurato a “Domenica in”. Sesso e politica fan paura alla Rai; e poi: Pippo Baudo censura Tondelli); Tondelli denunciò l’infamia: “Nonostante uno degli autori di «Domenica in» avesse accettato, dopo la solita trattativa, di ammettere il romanzo alla presenza del faraone [Pippo Baudo; N.d.R.], nonostante un capostruttura della Rete avesse per tre volte ribadito la presentazione in base agli intrinseci valori del romanzo, all’ultimo momento pare che sia intervenuto il direttore della rete, o chi per lui, per bloccare la presentazione. Motivo ufficiale: come non presentiamo film vietati ai minori, così facciamo con i romanzi. Più probabilmente, si dice, la storia della misteriosa morte del senatore cattolico (la parola democristiano non viene mai fatta nel libro) e alcune sequenze erotiche hanno turbato i dirigenti televisivi così come nell’80 Altri libertini turbò l’allora magistrato de L’Aquila Bartolomei, fino a spingerlo al sequestro”.
Qualche giorno dopo, l’ebbrezza toccò ineguagliate guglie. Il 5 luglio del 1985 Rimini viene presentato al Grand Hotel; l’atmosfera di ispirato edonismo è ricordata con queste parole da Roberto ‘Dago’ D’Agostino, il mattatore della festa: “Tondelli aveva magnetizzato i gay d’Italia… A un certo punto, tutto pronto per la presentazione, invitati già accalcati, fui incaricato di andare a chiamare Tondelli in camera. La porta era semi aperta e quello che vidi – gang-bang di corpi maschili rovesciati sul letto – ha sempre rappresentato per me un quadro-vivente di quegli anni, terribili e bellissimi. Un ‘sogno bagnato’ che Tondelli aveva svelato con i suoi libri”. Un paio di anni prima, il Grand Hotel era stata la cornice della ‘prima’ di E la nave va, il più malinconico dei film di Fellini: in prima fila, insieme al regista, lo Zeus di Cinecittà, c’era Umberto Eco; Mario Guaraldi – ancora lui – dirigeva le danze.
Nella biblioteca di Marco Pesaresi – angusta, augustea – non ricordo libri di Tondelli: ricordo Hermann Hesse, Dino Campana, Byron e Bakunin. La poesia come anarchia, il viaggio come brigantaggio dell’io. Pesaresi aveva una Transiberiana nel cuore; aveva cominciato a Londra, intuendo nel sottosuolo del tube il sole dell’India, il volto di Indra. Per un’idea di “colonna sonora” di Rimini, Tondelli scelse Leonard Cohen e i Duran Duran, I Wanna Be Loved di Elvis Costello e Time After Time di Cyndi Lauper, Prince, gli Smiths e i Talkin Heads. Probabilmente Pesaresi ascoltava gli stessi pezzi.
Il punto, tuttavia, è altro. Provo a dirlo così: la differenza tra nudità e spoliazione. C’è chi si denuda mostrando una maschera; chi, nudo, ha più abiti di quando è vestito. La nudità che non prevede spoliazione – cioè, un lento disfarsi dell’io, la resa all’inverno della carne – è una menzogna. L’attuale spaccio dei corpi – da YouPorn a OnlyFans – ha questa dimensione: la nudità non svela, non rivela e non svilisce. È avvilente. È una nudità-maschera. Una nudità travestita. Una nudità in vesti. Non c’è vestizione né spoliazione in quella nudità.
Eppure: la carne è effimera, passa, ma il corpo è tutto. Corpo: crisalide dello spirito.
Pesaresi fotografa la spoliazione. L’attimo in cui il corpo nudo, spoglio di tutto, finalmente disinibito, finalmente fuori di sé, si fa pasto a chi lo guarda. È un corpo a precipizio. Un corpo eucaristico, un corpo cibo – se vuoi, puoi masticarlo. Tutto, ormai, è spezzato. Non osate ricomporre, ora, ciò che è stato offerto per sempre.
Questo pensiero è dedicato a Mario Guaraldi, quasi un padre
*A Rimini, presso i Palazzi dell’Arte (Piazza Cavour), è in atto fino all’8 dicembre 2025 la mostra di Marco Pesaresi “Rimini proibita”. A cura di Jana Liskova e Mario Beltrambini, la mostra mette in relazione gli scatti di Pesaresi – di cui nel testo si pubblicano alcuni esemplari – al romanzo di Pier Vittorio Tondelli, “Rimini” (1985). Il catalogo della mostra è edito da NFC edizioni.