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Fernando Pellerano

Il suo giro di basso introduce «Siamo solo noi», una delle hit più famose della canzone italiana. Ora una mostra a Imola con le foto di Marco Isola lo racconta tra gadget e strumenti musicali: «La prima volta non sapevo chi fosse questo Vasco Rossi, fu mia moglie a dirmi “È quello di Albachiara”»

«Siamo solo io». Solo Claudio Golinelli, ovvero il Gallo, poteva intitolare così la mostra tributo a lui dedicata a Imola, la sua città, la sua terra, «l’amo, non l’ho mai abbandonata». 

Sottotitolo, «una vita fra alti e bassi». È suo il giro di basso che introduce una delle hit più famose della canzone italiana, «Siamo solo noi», 1980. Il Gallo, al fianco di Vasco Rossi per 45 anni. Solo lui. Solo lui della storica Combriccola del Blasco è rimasto a suonare con il Komandante. «Ci vogliamo bene, tanto bene. Vedi quella foto lì, siamo insieme sul palco prima di attaccare quel pezzo».



















































Questo ragazzo nato nel 1950, figlio d’arte, pronto a suonare prima la batteria e poi il basso appena adolescente nel gruppo di suo padre, Gino K, oggi è tirato a lucido, in elegante abito blu, una maglietta rock con il suo soprannome, occhiali a specchio. 

È lì a raccontare la sua carriera di musicista, di grande bassista, nella sala affacciata su piazza Matteotti piena di foto, gadget, strumenti, reperti, badge, plettri anelli, giacca sfrangiata, tanti testi e un video di 15’: è la mostra realizzata dalla Fondazione di Imola, aperta gratuitamente nel weekend, inaugurata a fine agosto e che si chiuderà il 28 settembre

Ogni anno un’esposizione dedicata a un imolese illustre curata da Giuseppe Savini. «Verrà anche Vasco a vederla, me l’ha promesso, ma non dico quando se no è un macello» dice il Gallo.

«Siamo felici di omaggiare un grande imolese come Claudio Golinelli», dice la presidente Silvia Poli, «e di raccontare la sua incredibile carriera. Oltre a questa sala a pian terreno, abbiamo allestito delle bellissime foto scattate da un altro imolese, Marco Isola, nelle sale permanenti al piano di sopra dove i visitatori potranno scoprire le opere di altri artisti della nostra città come Bertozzi & Casoni o Renato Manzoni, maestro della calzatura femminile del ‘900».

«Siamo solo io», un errore voluto (anche Vasco ci ha consapevolmente giocato spesso nelle sue canzoni) che spiega tanto, che racconta quell’esserci ancora nonostante tutto.

Suonare sul palco con grandi artisti per più di 50 anni: qual è il segreto?
«Il segreto? Suonare bene e mettersi nell’ottica dell’artista con cui vai a suonare».

Scorrono i ricordi davanti ai panel ricchi di foto anni ’60, vintage, bellissime, con la grafica dell’epoca.
«Qui c’è l’orchestra di papà, qui il primo gruppo I Baci, siamo nel ’69 e questo è Jimmy Villotti, un amico, poi si è ammalato…», dice fermandosi un attimo. Prosegue. «Dopo entrai in un gruppo forlivese, gli Hellzapoppin: belli, bravi, facevamo musica da ballo, suonavamo nelle discoteche, è stato un bel periodo anche quello. Quindi ci siamo trasformati negli Zebra Crossing, prodotti dai fratelli Capuano, con la Emi». 

Costumi pazzeschi, stile Kiss. 
«Eravamo troppo avanti, infatti suonammo solo all’estero. La ragazza di colore era Vivian Houston, sorella di Whitney».

L’anno dopo, nel ’79, la svolta: Gianna Nannini.
«Un produttore di Forlì, Willy David, aveva questa ragazza che faceva concerti da sola suonando il pianoforte e così mi disse “falle la band” e io le ho fatto la band. Lei poi ha fatto l’‘America’, la ‘California’… fu lei a darmi questo soprannome: “Golinelli, Gallina, no no te sei un Gallo” disse. In effetti a Milano mi diedi molto da fare… Aveva un coraggio la mi’ Gianna! Col vibratore in mano ‘e mi tocco l’America’, pensa un po’ a quei tempi».

Subito dopo ci fu Vasco con Albachiara.
«Eh sì… con una mano ti sfiori, tu sola dentro la stanza e tutto il mondo fuori…».

Fu in quel periodo che vi conosceste.
«Mi aveva sentito suonare con la Nannini, mi contattò e mi chiese di rifare un attacco che gli era piaciuto, ma in modo diverso. Prima di andare in studio dissi a mia moglie “vado da un certo Vasco Rossi a registrare, ma non so chi è”, e lei, “ma come, è quello di Albachiara”. Lei lo conosceva, io no, ero sempre in tour con Gianna».

Il primo incontro alla Fonoprint, a Bologna.
«La sede vecchia, in via de’ Coltelli. E lì buttai giù l’intro di Siamo solo noi. Vasco mi fece una buona impressione, ah ah ah, ci sono rimasto da allora, poi lui mi tratta molto bene, siamo entrati in sintonia. Ora dei vecchi sono rimasto solo io, ma non so perché, non lo so».

Ed è ancora con il Blasco nonostante la parentesi della Steve Rogers Band.
«Lui non la prese benissimo perché eravamo primi in classifica con “Alzati la gonna”, però poi… con la scomparsa di Massimino Riva era inutile andare avanti, impossibile sostituirlo sia dalla parte del cuore sia da quella della musica».

Vasco lo buttava giù dal palco.
«Era stupendo, stava bene sul palco Massimo, a me piaceva molto, è una storia lunga», dice commosso.

Quella con Vasco poi è infinita.
«A Roma nell’ultima data di quest’anno quando sono salito per suonare Siamo solo noi (da alcuni anni il Gallo fa la guest nei tour ndr) ci siamo abbracciati forte», la voce si rompe un po’.

I due concerti più belli?

«Con Gianna a Berlino, nel 1982, Rock Palast è stato meraviglioso, c’erano anche i Kid Creole and the Coconuts e Little Steven e poi Modena Park con Vasco», dice mostrando l’orologio celebrativo, «ce l’abbiamo solo io e lui». Ma il Gallo ha suonato con tanti altri artisti, «da Patty Pravo a Celentano, ho suonato molto ma davvero molto con Adriano, gli voglio bene. Era il periodo in cui facevo il turnista, andavo a Roma con una Simca 1000, poi però bòna eh».

Gli ultimi sguardi sulle foto sul suo gruppo personale.
«Il Gallo team…».

Ma come è cambiato il basso in questi decenni?
«Ai tempi di mio padre, nella sua orchestra, non era considerato e io ho sempre combattuto per dargli una dignità e credo di esserci riuscito».

Ma all’inizio non suonavi la batteria?
«Sì, però sai cosa succedeva? A fine concerto gli altri mollavano gli strumenti e andavano in giro a beccare le ragazze e io restavo lì a smontare i pezzi. E no, così non va, e passai al basso».

Studiasti al Conservatorio di Bologna.
«Con il mitico Lando Rossi, primo contrabbassista al Comunale di Firenze».

E ora che musica ascolti?
«Quella di oggi non mi piace, tutta parlata non mi piace. Ascolto i Beatles, gli Yes, i Genesis, la musica che rimarrà per sempre. Questi di oggi scompariranno… domani! E ora basta, fine» e se ne va, di punto in bianco.

Avendo però un cuore tenero, poco dopo il Gallo torna.
«Dai volevo solo fumarmi una sigaretta in piazza».

La piazza della tua Imola.
«Che amo e che dicono essere piena di pazzi, ma quelli vengono da fuori. Ecco, qui in piazza da piccolo giocavo a pallone, abitavo qua dietro».

Per chi tifavi?
«Per il Bologna, ovvio. Vincemmo lo scudetto quando ero un ragazzino e ora abbiamo rialzato la Coppa Italia, mi piace questa squadra».

Andavi allo stadio? 
«Sì, ma non con mio padre, lui suonava, ci andavo con gli amici».

I tuoi idoli?
«Bulgarelli, Nielsen, ma il mio preferito era Pascutti, il più pazzo di tutti».


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17 settembre 2025