di
Lorenzo Cremonesi

Quello della «Nakba» è stato un capitolo ignorato per trent’anni dalla storiografia occidentale: ecco che cosa accadde, e come, tra gli ultimi mesi del 1947 e l’inizio del 1949

Oltre tre quarti della popolazione araba nei territori diventati parte dello Stato di Israele espulsa a suon di massacri di civili, distruzione metodica delle loro abitazioni, violenze di ogni genere inclusi gli avvelenamenti dei pozzi, uccisioni seriali di greggi e devastazioni su larga scala dei raccolti per rendere impossibile l’economia di una società ancora largamente fondata su agricoltura e pastorizia: questa fu la «Nakba», che in arabo significa «catastrofe», la cacciata dei palestinesi tra gli ultimi mesi del 1947 e l’inizio del 1949

Circa 750 mila furono espulsi, rimasero nei confini del nuovo Stato ebraico meno di 250 mila. 



















































Fu un disegno di pulizia etnica prestabilito? «L’espulsione dei palestinesi era nelle corde del movimento sionista sin dagli esordi, ben prima della nascita dello Stato ebraico nel maggio 1948. Ma un piano vero e proprio all’inizio della guerra – esplosa dopo il rifiuto degli Stati arabi della partizione della terra per la creazione di due Stati prevista dalla risoluzione 181 dell’Onu il 29 novembre 1947- ancora non c’era, o comunque non era mai stato reso esplicito. Fu dopo i primi grandi massacri di arabi nel dicembre-febbraio 1948 che i dirigenti politici e militari sionisti si resero conto che le fughe di arabi erano molto utili ai loro fini. L’appetito vien mangiando, è così già ai primi di aprile dello stesso anno i capi dell’Haganah (la forza militare ebraica maggioritaria legata al campo laburista) e i futuri dirigenti di Israele misero a punto il Piano Dalet, che prevedeva di svuotare su larga scala le terre dei loro abitanti, anche quelle che l’Onu aveva assegnato ai palestinesi. In parallelo, operavano anche le formazioni estremiste del sionismo nazionalista, come Irgun e Lehi, le quali concepivano violenza e terrorismo come legittimi sistemi di lotta per svuotare intere regioni», scrive e ci ha ripetuto personalmente in varie occasioni Benny Morris, uno dei massimi storici israeliani delle guerre del suo Paese.

Per oltre tre decenni la Nakba fu quasi del tutto ignorata dalla storiografia israeliane e occidentale in generale

Nel contesto delle leggi sulla sicurezza imposte sino a poco prima della guerra del 1967, non solo i cittadini israeliani d’origine araba erano soggetti a fondamentali restrizioni sulle loro libertà di spostamento e d’opinione, ma anche nell’intero Paese imperava la coercizione della propaganda di Stato. I professori, anche ebrei, che a scuola o nelle università avessero parlato dell’esodo palestinese forzato avrebbero perso il posto. Prevaleva invece la narrativa ufficiale: i palestinesi erano partiti di loro volontà, traditi e illusi dai governi arabi nella regione – a partire da Egitto, Giordania e Iraq –, che avevano loro promesso una facile vittoria militare contro il «colonialismo sionista» e il ritorno indolore alle loro abitazioni e proprietà. In questa luce, gli ebrei scampati all’Olocausto avevano vinto contro un nemico infido e cento volte più forte, come Davide con Golia, e adesso non c’era più alcun motivo per fare rientrare i profughi dall’estero, che avrebbero operato come una «quinta colonna» per tramare alla distruzione d’Israele.

Ancora nei primi anni Ottanta gli archivi di Stato e dell’esercito restavano ermeticamente chiusi o comunque censurati. Se per caso il ricercatore s’imbatteva nei faldoni di migliaia di lettere scritte da privati, medici, maestri di scuola, oltre a imam, sacerdoti e sindaci, che imploravano il permesso di lasciare i campi profughi in Libano, Giordania o Siria per tornare a casa, non riusciva a trovare una chiave interpretativa. Cosa davvero era accaduto? Quali erano i tabù, le verità mai ammesse, i peccati originali che avevano accompagnato i mesi convulsi della nascita dello Stato?

Le cose iniziarono a cambiare con i «nuovi storici», una lunga serie di intellettuali israeliani nati nel clima liberale e via via più aperto degli anni Ottanta e, assieme a loro, con la presenza di storici e scrittori palestinesi cresciuti nella diaspora sia europea che americana. Lo scoppio nel 1987 della «prima intifada», la grande rivolta sostanzialmente pacifica delle popolazioni residenti nelle zone occupate da Israele vent’anni prima, ha rilanciato con forza la «questione palestinese», non solo in Medio Oriente, ma sulla scena internazionale. Da allora la sfida-scontro tra orrori dell’Olocausto e Nakba è spesso argomento di aperte polemiche. Non sono però mancati scrittori arabi, specie in Libano e in Europa, pronti a criticare i negatori dell’orrore della Shoà e allo stesso tempo si sono moltiplicati gli intellettuali israeliani ed ebrei nella diaspora apertamente disposti a rifiutare la propaganda sionista e le vecchie narrative. A fianco di uno storico come Shlomo Sand, docente all’università di Tel Aviv, che mette seriamente in dubbio la lettura della continuità tra antichi regni ebraici e Israele contemporaneo, ve ne sono altri pronti a smontare la «leggenda» del debole Israele contro i Golia onnipotenti, sino a indagare le gravi colpe del loro Paese nella «seconda Nakba» dopo la guerra del 1967.

Oggi si è tornato a evocare la Nakba dopo l’eccidio commesso da Hamas il 7 ottobre 2023. E questo anche perché diversi esponenti dell’ultra destra messianica israeliana hanno subito insistito sulla necessità di espellere tutti i palestinesi, non solo da Gaza, ma anche dalla Cisgiordania. L’impianto teorico per questo disegno è antico, fu rinvigorito dalla guerra del 1967, alimentato in seguito dalla crescita delle colonie ebraiche nei territori occupati e ha visto la sua manifestazione drammatica nell’omicidio del premier laburista Ytzhak Rabin nel 1995 per bloccare il progetto di pace fondato sulla partizione della terra in due Stati, così come era stato formulato agli accordi di Oslo nel 1993. 

L’epilogo in questa luce appare drammatico: ancora una volta un progetto di espansione dei confini dello Stato ebraico comporta il ritorno della Nakba, una nuova «catastrofe» per i palestinesi.

17 settembre 2025 ( modifica il 17 settembre 2025 | 16:52)