Sarà un’estate caravaggesca; un’estate carica di chiaroscuri e mezze figure, di ombre portate su torsi giovani messi a nudo e piegati; di dolore sordo, rassegnato; di tensioni sopra e sottopelle, spine che si fissano nella carne, mani che indicano, che sondano lo spazio della vita e mani legate da doppie corde, bocche che si spalancano per lo stupore e nei in evidenza su volti che come carte geografiche, sangue che cola e barbuti uomini di potere, che se ne lavano le mani, consapevoli loro per primi della banalità del male, chiamandoci in causa (volete lui o un altro?) e promuovendoci da spettatori a complici. Un’estate caravaggesca che ricorderemo a lungo come ogni stagione della vita che, quando meno te lo aspetti, aumenta di succo e polpa per l’incontro con un libro importante, una musica nuova o un gran quadro. Sarà un’estate caravaggesca per chi, nei prossimi giorni, decida di salire a Capodimonte, dimenticando in borsa lo smartphone e riaccendendo i motori dello sguardo. Il direttore del Museo, Eike Schmidt, è riuscito nel gran colpo di portare vicino alla “Flagellazione” di San Domenico il nuovo Caravaggio. La paternità di questo “Ecce Homo”, riemerso in una collezione madrilena, è largamente condivisa. Ma si sa che gli avverbi vanno maneggiati con cura: possono chiudersi a lucchetto o distendersi a organetto. “Largamente” spalanca il vasto dominio delle congetture e, d’altronde, in quello dove nuotano gli storici d’arte, non un acquario per pesci d’acqua dolce, si contestano le attribuzioni per contestare gli attribuenti.
APPROFONDIMENTI
Ma questo “Ecco Homo” è Caravaggio puro, ormai sui quarant’anni, Caravaggio nel finale di partita napoletano, il Caravaggio che non ha più nulla da perdere e suona, ormai, solo le note giuste eliminando ogni carezza di bella pittura, qualunque digressione che possa rendere meno decisivo l’incontro con il mistero del sacro. Caravaggio non chiede di meno e a propiziare l’incontro non esiste posto migliore di Capodimonte per almeno due ragioni, una migliore dell’altra.
Caravaggio a Capodimonte: due capolavori in una stanza
La prima è generale. Esposto da solo Caravaggio muore una seconda volta. Un’opera d’arte non sta mai da sola disse una volta uno che di Caravaggio se ne intendeva prima e più di noi. È sempre un rapporto, innanzitutto con un’altra opera d’arte. E qui questo quadro di formato da stanza, si legge bene con un quadro di chiesa come la “Flagellazione”, eseguita per San Domenico Maggiore e ricoverata a Capodimonte, al terzo tentativo di furto, nell’inverno del 1972. Sovrapponete idealmente i volti del Cristo e capirete che son cose nate nelle stesse ore. Certo, se questo “Ecco Homo” odora di Napoli conviene vederlo vicino a quegli artefici nostri che, dall’incontro col Caravaggio rientrarono confusi, sbalorditi, increduli, frastornati; se vogliamo, sconfitti. Provando chi a saltare più in alto, chi a passare sotto e chi, semplicemente rinunciando. Alcuni li conosciamo anche per averli solo sentiti nominare. Sono Battistello Caracciolo, quanto di più simile ad un allievo il Caravaggio abbia mai avuto; Carlo Sellitto, Azzolino, Fabrizio Santafede e Andrea Vaccaro. E sono lo spagnolo Ribera che su questo “Ecce Homo” farà i compiti reinventandolo con iniezioni di stile e bella pittura. Tutti si sono confrontati con questo quadro. E ora, amici miei, tocca a noi.