di
Giovanna Maria Fagnani
I suoi «palchi» per 40 anni sono stati piazza Duomo, via Dante, il Portello (ma è stato chiamato anche alla radio di Baudo ed è andato in tour in America). Ora si esibisce per gli ospiti della Rsa Parco delle Cave a Baggio, dove ha deciso di trasferirsi per stare accanto alla moglie malata: «Abbiamo venduto la nostra casa a Lorenteggio e siamo qui. Lei è il mio amore da 70 anni»
«Evviva l’amore, l’amore reale, evviva l’amore, universale!». Franco accorda la sua chitarra e, quando si mette a cantare, la platea ci mette un attimo a imparare il ritornello a memoria. In quest’estate senza tormentoni, potrebbe diventare una nuova hit. I suoi «palchi» per 40 anni sono stati piazza Duomo, via Dante, ma anche il Portello, davanti alla fabbrica dell’Alfa Romeo. Oggi Franco Trincale ha un nuovo palco – il salone della rsa Parco delle Cave a Baggio – e un nuovo pubblico: i coetanei ricoverati, i loro famigliari, il personale. Una sola musa: la moglie Lina, a cui scrisse la prima serenata e a cui dedica ancora oggi il suo canto. Franco Trincale, che ha compiuto 90 anni qualche giorno fa (con una grande festa in casa di riposo) è una figura storica per la scena musicale milanese. È l’ultimo cantastorie non televisivo.
Per decenni, con la sua chitarra e la sua scenografia portatile composta da cartelloni illustrati, disegnati da lui o da un amico artista, ha cantato per le strade della città la cronaca d’Italia destinata a farsi storia: la morte di Pinelli e piazza Fontana, Tangentopoli, la guerra in Iraq, le lotte operaie, la morte di Carlo Giuliani. E poi i personaggi: Maradona, Papa Giovanni Paolo II, Che Guevara, Cicciolina, Silvio Berlusconi («San Berlusca»). E la diaspora di chi, dal Sud, veniva al Nord in cerca di lavoro, come avevano fatto lui e sua moglie Lina, originari di Militello, in Sicilia.
Canzoni militanti, che davano fastidio alla politica (tanto che durante il mandato del sindaco Gabriele Albertini arrivò anche un’ordinanza che vietava l’uso di amplificatori agli artisti di strada, in un momento in cui li usava solo lui, nella zona di Piazza Duomo, Corso Vittorio Emanuele e via Dante). Rime baciate, ritmi semplici, sarcasmo e ironia, sdegno, denuncia. Una cronaca cantata. Con attenzione al cambiamento della società, che ancora oggi non viene meno: scrisse una ballata sul telefono cellulare e alla sua festa ha fatto un discorso sull’intelligenza artificiale. E nella ballata «Domenica» canta quanto si viva, ormai, solo per il weekend, e la sera si è troppo stanchi e in famiglia si finisce per parlare poco.
Sulla sua vita si potrebbe girare un film (e un documentario già c’è, firmato da Claudio Bernieri e pubblicato su YouTube). Ha fatto il cantastorie, ha aderito al partito comunista (ma non è finita bene, le sue canzoni erano scomode persino per i suoi compagni), ha cantato in tv, sull’emittente siciliana fondata da Pippo Baudo, è andato in tournée in Russia e poi negli Stati Uniti, in Australia, ha vinto una competizione canora di una radio libera a New York. «Ma non mi sono mai montato la testa» dice orgoglioso. Nella fittissima rassegna stampa su di lui c’è perfino un articolo del New York Times. Quando non ha potuto mantenersi cantando, si è messo a fare il tassista. Ma dal governo Prodi ha ricevuto il parco vitalizio per la Legge Bacchelli, a suggello della sua carriera.
A 90 anni ha scoperto una nuova vena poetica, fatta di canzoni leggere, soprattutto versi d’amore. A ispirarlo è la sua Lina. È per lei che un anno e mezzo fa ha scelto di dire addio alla loro casa al Lorenteggio. «Quattro anni fa a mia moglie, affetta da Alzheimer, è stata ricoverata qui. L’abbiamo tenuta a casa con noi finché è stato possibile. Io venivo ogni giorno a trovarla e ho chiesto se ci fosse una stanza anche per me. Così abbiamo venduto la nostra casa e siamo qui. Preferisco così: sono qui con lei, nella gioia e nella tristezza. Lina mi dà la carica quando apre gli occhi e mi guarda e mi sorride, e alza la mano quasi per salutare» racconta Franco. La sua camera è come la stanza di un museo, piena di tutti i suoi cimeli. Canta e suona tutti i giorni, scrive nuove canzoni. Per gli ospiti e per Lina. «Non sono più canzoni di protesta, qui non avrebbero senso, oggi canto l’amore. In questo luogo ci vogliono tanta pazienza e tanto amore: l’amore è il carburante che ricarica la pazienza» aggiunge l’artista.
Se ha cominciato a suonare, il merito è del barbiere di Militello da cui lavorava come garzone, a 17 anni, in attesa di imbarcarsi per il servizio militare in Marina e passare tre anni sulle navi. Il barbiere aveva una chitarra e se lo portava dietro a cantare con lui. Ma fuori dalla bottega passava Lina, che all’epoca aveva 13 anni. «Lei passava e io la guardavo. Io andavo a farle le serenate e lei mi buttava bigliettini al balcone. Ci siamo innamorati così, dentro di noi, è stato un amore non passionale ma fatto di tenerezza» ricorda. «Quando seppi di essere stato ammesso in Marina, dissi a mio papà in lacrime: “Andate a parlare con il padre di Lina per il fidanzamento ufficiale”».
Ma il futuro suocero all’inizio non era d’accordo: prima di Lina, doveva sposarsi sua sorella maggiore. All’amore, però, non si può comandare e dopo tre anni sulle navi, Franco tornò al paese, pronto a sposarsi. «”Natalina”, le diceva suo papà, “ma questo che mestiere c’ha? E io rispondevo “ho il mestiere di fare il cantastorie”, ma di mestieri ne ho fatti tantissimi, ho anche venduto frutta e verdura». I due si sposano dopo la «fuitina», concordata con entrambe le famiglie per non spendere troppo. «Al matrimonio riparatore, c’erano i nostri genitori e il sagrestano come testimone». Poi il trasferimento a Milano, nel 1959, le gioie e le vicissitudini, l’una accanto all’altro. Un amore che dura da più di 70 anni e che genera musica, versi, poesia.
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17 settembre 2025
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