Fuga in avanti della Sardegna. I vescovi: «Non va smarrita l’umanità»

ANSA

Dopo la Toscana, anche la Sardegna ha approvato una sua legge regionale sul fine vita. In assenza di una normativa nazionale sollecitata da tempo dalla Consulta a rendere non punibile – ricorrendo alcuni presupposti estremi – l’aiuto al suicidio, si registra dunque una nuova fuga in avanti a livello locale, sulla scia della libera interpretazione che l’associazione Luca Coscioni dà del pronunciamento della Corte. Il testo della Sardegna ricalca per grandi linee la proposta “Liberi subito” e come per la Toscana c’è da aspettarsi che anche questa norma venga impugnata dal Governo, mentre in Parlamento discute di una disciplina organica sul tema e – nonostante il dibattito ancora aperto nella maggioranza – sembra prevalere l’idea che una legge sia inevitabile, sia pur entro parametri molto restrittivi, fra cui fa molto discutere il mancato coinvolgimento del servizio sanitario nazionale.

In Consiglio regionale sono stati 32 i voti favorevoli, 19 contrari e un’astensione. La norma garantisce assistenza sanitaria gratuita a chi, affetto da patologia irreversibile e dipendendo da trattamenti vitali, sceglie autonomamente e consapevolmente di accedere al suicidio medicalmente assistito al quale vengono garantiti tempi ben definiti. La sussistenza delle pre-condizioni dovranno essere verificate da una commissione multidisciplinare e dal comitato etico regionale. Il testo, come si vede, fa riferimento ai presupposti di non punibilità enunciati dalla Consulta, ma la fuga in avanti consiste a ben vedere nel trasformare una mera “scriminante” prevista dalla Corte (che comporta la non punibilità dell’aiuto ricorrendo determinati presupposti) in un vero e proprio diritto da erogare da parte del servizio pubblico a titolo gratuito.

In larga misura si è trattato di un voto oltre le logiche di partito o coalizione. Non sono mancate infatti prese di posizioni in contro-tendenza: nella maggioranza ha votato contro Lorenzo Cozzolino del gruppo Orizzonte Comune (ma eletto con il Psi), mentre si è astenuto il vicepresidente del Consiglio regionale Giuseppe Frau (Uniti con Todde). Nel centrodestra all’opposizione viceversa l’azzurro Gianni Chessa ha votato «convintamente» a favore.

In un comunicato i vescovi sardi esprimono «preoccupazione» e un «dissenso» che «nasce dalla certezza che la vita va sempre difesa, per cui non è accettabile aiutare un malato a morire. Il tema della difesa della vita non può essere un’occasione per contrapposizioni politiche strumentali per finalità di consenso elettorale», sostengono i presuli facendo proprio il comunicato della Presidenza della Cei del 19 febbraio 2025, e in una situazione come quella sarda «appare ancora più urgente che si dia attuazione al “Piano di potenziamento della Rete regionale di cure palliative 2024”, del 5 settembre scorso. Non si tratta di accanimento terapeutico – concludono -, al quale siamo sempre contrari, ma di non smarrire l’umanità».

Anche l‘arcivescovo di Cagliari Giusseppe Baturi, segretario generale della Cei, ricorda come la Presidenza dei vescovi italiani abbia già sostenuto che «sulla vita non ci possono essere polarizzazioni o giochi al ribasso», ed esprime quindi «rammarico», auspicando che «si giunga, a livello nazionale, a interventi che tutelino nel miglior modo possibile la vita, favoriscano l’accompagnamento e la cura nella malattia, sostengano le famiglie nelle situazioni di sofferenza».

Di « inutile legge-propaganda su una materia che non è di competenza regionale, mentre il Senato lavora con impegno al tema del fine vita» parla il capogruppo di Fi Maurizio Gasparri. «Un errore nel metodo e nel merito», lo definisce Mariastella Gelmini, senatrice di Noi Moderati. Per Pd e M5s si tratta invece di una «legge «di civiltà» e «di dignità».

Sul fronte associativo Pro Vita & Famiglia parla di «legge omicida», e ricorda che «meno del 5%» ha accesso alle cure palliative. Mentre Domenico Menorello, coordinatore del network Ditelo sui tetti intravede «un messaggio di disvalore verso la vita fragile. La stessa fretta – denuncia – non si rileva nella ricerca di garantire cure palliative del dolore».