La conquista di Gaza City procede coperta dal segreto militare con una manovra terrestre unica nel suo genere, e attacchi elaborati mai visti prima, investendo su un risultato che vuole un numero di vittime molto basso a ogni costo, “contrariamente ai report dalla Striscia”.

Fonti militari, pur senza rivelare dettagli cruciali, fanno intendere che nella città di Gaza i generali dell’Idf stanno mettendo in pratica modalità operative sconosciute ai manuali di strategia: risultati immediati, ma un progresso lento. Internet va e viene ad arte, difficile comunicare per i miliziani, complicato trasmettere all’estero per i videomaker locali.

Dal terreno non arrivano praticamente immagini, a parte poche foto diffuse dall’esercito. I carrarmati tra nuvole di polvere gialla sono un’immagine da grande schermo, non aiutano a focalizzare l’attrito della battaglia. Solo i boati squassano la terra, terrorizzando i residenti rimasti dopo l’esodo di oltre 400mila gazawi. Con il tremore che si propaga a ondate fino a Tel Aviv. I morti, dicono i media palestinesi, sono 45, tra cui un operatore di Medici senza Frontiere, il 13mo dall’inizio della guerra.

Hamas intanto, per bocca del funzionario Razi Hamed sopravvissuto al raid di Doha, sfida il presidente degli Stati Uniti: “Non abbiamo paura di Trump quando dice che ci aprirà le porte dell’inferno. Non riceviamo istruzioni da lui su come trattare gli ostaggi nemici. Li trattiamo secondo i nostri valori e la nostra religione”, ha detto parlando su al Jazeera per la prima volta dall’attacco israeliano in Qatar. “Chiunque voglia liberarli deve ordinare a Netanyahu di concludere un accordo di scambio di prigionieri e fermare la guerra”, ha intimato.

Altrettanto eclatanti le parole del ministro nazionalista delle Finanze, colono e messianico, Bezalel Smotrich. Il quale ha confermato pubblicamente per la prima volta che il progetto per la ricostruzione della Striscia è oggetto di discussioni con gli Usa, spiegando: “Ho iniziato una trattativa con gli americani, lo dico senza scherzare, perché abbiamo pagato moltissimo denaro per questa guerra. Dobbiamo dividerci come facciamo le percentuali sulla terra”.

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Intervenendo a un vertice sulla rigenerazione urbana, ha descritto la Gaza del dopoguerra come un Eldorado, una miniera d’oro per gli investimenti. Al rutilante destino architettonico della Striscia, il Washington Post aveva dedicato un ampio report alla fine del mese scorso. Riferendo di un piano per la ricostruzione che circola tra le scrivanie dell’amministrazione Usa, fondato sulle intenzioni di Donald Trump di ottenere il controllo dell’enclave per trasformarla “in una zona fiduciaria amministrata dagli Stati Uniti per almeno dieci anni”.

Oggi come oggi, per crederci ci vuole tanta apertura mentale: la polvere grigia che aleggia nella Striscia, i palazzi afflosciati a terra, le macerie sporche suggeriscono sentimenti di catastrofe. Figurarsi un futuro scintillante. Al momento, le ruspe dell’Idf stanno sbancando il terreno tra Rafah e Khan Younis per i palestinesi.

Ad aiutare i sogni arrivano i video postati dagli oppositori di Hamas: “Che cosa avevi in mente Sinwar?”, chiede uno di loro pubblicando un filmato della Striscia prima del 7 ottobre 2023 che mostra ampi viali ingentiliti dalle palme, il traffico delle metropoli, negozi di lusso, eleganti mall, ristoranti alla moda, i bambini nelle sale giochi: 712 giorni dopo, non resta niente. L’unica certezza è il piano di battaglia del generale Yaniv Ashur, capo del Comando sud dell’Idf, svelato da Walla.

Le fasi sono tre: ‘il momento del fuoco’, con la distruzione massiccia delle infrastrutture terroristiche, specie di notte. Nella seconda fase, l’operazione di terra in un processo coordinato con l’intelligence, con grande attenzione pianificata nei minimi particolari alla riduzione dei rischi per i soldati e gli ostaggi. I rapiti, secondo le informazioni a disposizione, sono circondati da trappole esplosive e uomini con ordigni. Infine la terza parte: classificata con il livello più alto di segretezza.

 

Fonti Ue: ‘La proposta colpisce il 37% del commercio con Israele’

La proposta della Commissione mira a sospendere una parte – “la più significativa” – del trattato commerciale preferenziale tra l’Ue e Israele, che equivale al 37% del volume totale. Il resto, spiega un alto funzionario europeo, è regolato dai patti presi nel quadro del WTO (Organizzazione Mondiale del Commercio) e non è soggetto alle misure. In termini pratici, si tratta di circa 227 milioni di euro all’anno, che ora saranno soggetti a dazi maggiorati e quindi applicati agli importatori europei (in tutto nel 2024 l’Ue ha importato beni da Israele per un valore totale di 16 miliardi di euro). Il grosso riguarderà i prodotti agricoli

L’import di armi da Israele non coperto da sanzioni

Il settore delle armi non sarà toccato dalla proposta della Commissione Europea sulla sospensione del trattamento preferenziale delle misure commerciali fra Ue e Israele poiché non rientra nelle specificità dell’accordo di associazione ma è anzi coperto dal quadro generale del Wto. Lo precisa un alto funzionario Ue illustrando i dettagli della proposta dell’esecutivo blustellato, sottolineando che gli armamenti beneficiano spesso della “clausola di confidenzialità” per cui non è dato sapere con certezza quanto pesi sull’interscambio generale tra Ue e Israele.

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