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Da circa un anno a questa parte c’è uno stallo politico piuttosto grosso che riguarda la Rai. Il problema maggiore è che i partiti non riescono a mettersi d’accordo sulla conferma della presidente dell’azienda, ma non è l’unico: sarebbe urgente anche approvare una riforma della governance, per non violare le leggi europee, eppure anche su quello ci sono poche speranze di un accordo.

Mercoledì mattina la riunione della Commissione di vigilanza Rai che avrebbe dovuto nominare la presidente del consiglio di amministrazione (CDA) è finita in un nulla di fatto. È la decima seduta consecutiva che va così, senza esito, e sempre per lo stesso motivo: la mancanza del numero legale dovuto alla scelta dei deputati e dei senatori del centrodestra di non partecipare ai lavori della Commissione. Il loro è un gesto di protesta, promosso in particolare da Forza Italia, per denunciare l’indisponibilità delle opposizioni a confermare la nomina di Simona Agnes, sostenuta soprattutto da Forza Italia.

Lo stallo va avanti dal 26 settembre del 2024, cioè quando il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti indicò proprio Agnes come presidente della Rai. La nomina, come da regolamento, va confermata con almeno i due terzi dei favorevoli dalla Commissione di vigilanza, che è l’organo collegiale del parlamento con il compito di sorvegliare l’attività delle reti pubbliche e deciderne gli indirizzi. Alla maggioranza serve dunque ottenere almeno in parte il sostegno dei partiti dell’opposizione, i quali però sono contrari a votare Agnes perché non si tratta di un nome condiviso, come di solito avviene, ma imposto dalla maggioranza e in particolare da Forza Italia. Nel frattempo le funzioni di presidente sono svolte, con modalità un po’ complicate, dal membro più anziano del CDA, Antonio Marano, vicino alla Lega.

Il capogruppo di Forza Italia Maurizio Gasparri ha tentato varie soluzioni per garantirsi un’intesa con una parte del centrosinistra, sfruttando le divisioni interne al fronte progressista e cercando soprattutto di accattivarsi il Movimento 5 Stelle. All’inizio della legislatura il M5S aveva mostrato un atteggiamento più conciliante verso il governo proprio su questioni relative alla Rai, e non a caso era riuscito a far eleggere una propria senatrice, Barbara Floridia, alla presidenza della Commissione di vigilanza.

La presidente della Commissione di vigilanza Rai Barbara Floridia durante un convegno sul servizio pubblico al Senato, il 28 gennaio 2025 (Mauro Scrobogna/LaPresse)

Floridia nel novembre del 2024 aveva convinto il presidente del Senato Ignazio La Russa a ospitare a Palazzo Madama gli Stati generali della Rai, un pomposo convegno di due giorni. Per quest’iniziativa Floridia ottenne molta visibilità sui giornali e ricevette complimenti da vari esponenti del centrodestra. L’obiettivo ufficiale era discutere proposte concrete per la riforma della governance della Rai; quello reale era propiziare un accordo tra il M5S e il centrodestra su Agnes. Il leader del partito Giuseppe Conte, in quelle settimane, dopo aver avuto un lungo colloquio fuori dall’aula della Camera con Tajani, confidò ai giornalisti di essere quasi imbarazzato per l’insistenza con cui Forza Italia cercava di garantirsi il sostegno del M5S, dietro la promessa di ricompense riguardo a future nomine dei direttori e dei vicedirettori delle varie testate.

Non se ne fece niente, in ogni caso. Gli Stati generali si rivelarono un’iniziativa piuttosto inconcludente, e Conte non se la sentì di dividere il fronte delle opposizioni e subire poi l’accusa di collaborazionismo con la destra. Da quel momento in avanti, il confronto è diventato molto duro ma infruttuoso: i partiti di maggioranza decisero di abbandonare i lavori della Commissione, così da far mancare il numero legale, cioè il numero minimo di presenti (la metà più uno) per rendere valide le sedute.

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D’altro canto, lo stallo è un’opportunità per le opposizioni, che hanno buon gioco ad attribuire la responsabilità di questa situazione alla maggioranza; e lo è anche per la Lega di Matteo Salvini, perché la mancata nomina di Agnes consente a Marano, ex parlamentare leghista, di svolgere le funzioni di presidente in qualità di consigliere anziano. Per lo stesso motivo, Fratelli d’Italia vorrebbe invece procedere, ma neppure Giorgia Meloni è riuscita a trovare una soluzione, anche in virtù dell’indisponibilità di Forza Italia a proporre qualcun altro rispetto ad Agnes. Interrogato su quando sia contorta e assurda la situazione, e su come e quando potrebbe risolversi, mercoledì Gasparri si è limitato a commentare: «Allo stato le cose stanno così».

Nel frattempo, in questi mesi vari partiti hanno presentato numerose proposte di riforma della Rai, e in certi casi uno stesso partito ne ha presentate più d’una (la Lega, per esempio, almeno un paio). Tra Camera e Senato se ne contano dieci: alcune simili tra loro, altre piuttosto diverse, ma tutte comunque destinate a non essere neanche discusse per via dello stallo in vigilanza e nel CDA della Rai.

Simona Agnes e Roberto Sergio vanno a rendere omaggio a Pippo Baudo nella camera ardente allestita al Teatro delle Vittorie Rai, Roma, Lunedì 18 Agosto 2025. (foto Mauro Scrobogna / LaPresse)

Ne è una dimostrazione anche la vicenda che ha riguardato il cosiddetto “comitato ristretto”, un gruppo di 10 senatori nominato su iniziativa della Commissione ambiente e comunicazioni del Senato, che doveva discutere della riforma della Rai. Da fine luglio, questo comitato si è insediato con l’obiettivo di riuscire laddove la commissione era fallita, cioè nella produzione di un testo condiviso tra maggioranza e opposizione. Martedì, dopo appena qualche riunione, i senatori si sono arresi all’evidenza: nessuna proposta condivisa è stata trovata, e la bozza scritta dagli esponenti di Forza Italia Roberto Rosso e Claudio Fazzone non soddisfa le opposizioni, che presenteranno alcuni emendamenti nei prossimi giorni, e che depositeranno insieme un proprio testo alternativo quando la discussione si sposterà alla Camera. Il comitato ristretto è stato dunque sciolto.

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La situazione rischia di peggiorare ulteriormente, per il governo, visto che dall’8 agosto gli Stati membri dell’Unione Europea devono applicare pienamente lo European Media Freedom Act, un regolamento approvato dal Parlamento e dal Consiglio Europeo ed entrato in vigore il 7 maggio del 2024, con l’obiettivo di garantire un corretto funzionamento dei mezzi d’informazione nell’Unione: ci sono indicazioni su come ottenere indipendenza e pluralismo dei media pubblici, su come disciplinare un’equa ripartizione degli spazi e degli introiti pubblicitari, su come rispettare i diritti dei giornalisti, e su come scongiurare il controllo dei governi sui mezzi d’informazione del servizio pubblico.

Proprio quest’ultimo punto, che ha a che vedere con l’articolo 5 del nuovo regolamento europeo, è il più delicato per quel che riguarda la Rai. La legge attualmente in vigore che disciplina la governance, promossa nel 2015 dal governo di Matteo Renzi e poi applicata in tre occasioni da quelli di Conte, di Draghi e di Meloni, stabilisce tra l’altro che sia il governo a nominare l’amministratore delegato della Rai, e questo appare in conflitto col Media Freedom Act. C’è dunque bisogno di una riforma che modifichi almeno questo aspetto e che recepisca le varie altre indicazioni contenute nel nuovo regolamento europeo, per evitare una possibile procedura d’infrazione che potrebbe portare al pagamento di una sanzione da parte dell’Italia. Per ora, però, lo stallo sembra destinato a durare ancora: sia sulla nomina di Agnes, sia nella discussione di nuove proposte di legge per riformare la Rai.