È bastato il suo sguardo freddo e la racchetta per trasformare il tennis: Björn Borg è stato la prima rockstar dello sport, l’icona che rese pop il campo da gioco e consegnò allo sport uno stile che ancora oggi vive nei campi. Ma la sua storia non è soltanto trionfi: tra 11 Slam (6 Roland Garros, 5 Wimbledon consecutivi) e un ritiro a 26 anni, si nasconde una lunga stagione di eccessi, dipendenze e salti nel vuoto. Oggi, a 69 anni, Borg parla senza fronzoli nella sua autobiografia e in una intervista rilascia a La Republica: della «fame chimica», dei tanti soldi persi, dell’operazione per un cancro alla prostata e di come Loredana Bertè gli abbia probabilmente salvato la vita.
Chi era e perché è diventato mito
Figlio di una famiglia umile, Borg esplose negli anni Settanta con un tennis rivoluzionario: rovescio a due mani, preparazione atletica e un look che fece breccia tra i giovani. In pochissimo tempo divenne il simbolo svedese per eccellenza, al livello di ABBA o Ikea, e il primo atleta moderno capace di trasformare talento in fenomeno culturale. Ma il successo rapidissimo nascondeva fragilità: la tensione per restare sempre al vertice e la difficoltà a ritrovarsi fuori dal campo lo portarono presto a cercare vie di fuga.
La fama e la «fame chimica»
Dopo il ritiro improvviso – che Borg definisce più una fuga che una scelta – cominciò una spirale di feste, alcol e farmaci. Dallo Studio 54 arrivò anche alla polvere bianca; l’isolamento, i panic attack e la depressione lo spinsero a vivere tra notti folli e relazioni instabili. «La fame chimica» è il termine che riassume quell’urgenza di anestetizzare il vuoto: non solo droga, ma cocktail di medicine, alcool e comportamenti autodistruttivi. L’ombra delle dipendenze è stata una costante, con ricadute e ricoveri, fino al punto in cui qualcuno – Loredana Bertè – intervenne prontamente.
I (tanti) soldi e gli errori d’impresa
La transizione da campione a brand non fu indolore. Licenze, profumi e linee commerciali portarono a guadagni enormi ma anche a fallimenti dolorosi: soci infedeli, prodotti flop e debiti che costrinsero Borg a vendere proprietà e a ricominciare. Paradossalmente oggi il suo nome è più diffuso come marchio di intimo che come ricordo del tennista: i giovani mostrano i boxer «Borg» più che la sua leggenda sportiva.
Loredana Bertè: l’intervento decisivo
Un episodio chiave: Borg racconta a La Repubblica di essere stato ritrovato in stato di incoscienza e soccorso grazie a Loredana Bertè, che chiamò l’ambulanza e ne permise il ricovero. Quel gesto, secondo il campione, fu decisivo: «Sì, le devo la vita».
Una lavanda gastrica e cure immediate che evitarono il peggio. Da lì partì la necessità di allontanarsi da ambienti tossici, trasferendosi a Londra e ricominciando ad allenarsi: «Frequentavo persone sbagliate, accettavo passivamente tutto, ero in un groviglio. Loredana che era diventata mia moglie voleva un figlio, era comprensibile, aveva sei anni più di me, arrivai a depositare un campione di sperma per l’inseminazione. Ma per salvarmi dovevo fuggire da lei e da quell’ambiente. Mi trasferii a Londra e ripresi ad allenarmi. Quando mi sono risposato lei mi ha denunciato per bigamia e la sua accusa mi ha impedito di tornare in Italia. E comunque a Milano non ci ho voluto più mettere piede». La relazione con Bertè, pur complessa, resta per Borg un capitolo fondamentale nella sua lotta contro le dipendenze.
L’operazione e il richiamo alla prevenzione
Di recente Borg è stato sottoposto a un intervento per un cancro alla prostata «molto aggressivo». L’operazione è riuscita e oggi il campione invita con forza gli uomini a fare prevenzione: il tumore alla prostata è spesso silenzioso, e i controlli regolari possono salvare la vita. Borg racconta di aver scelto l’operazione su indicazione medica e di seguire oggi un regime di esami semestrali.
Dove è arrivato e dove guarda ora
Oggi Borg è uomo che ha contato le vette e toccato il fondo, ma che sostiene di essere riuscito a rimettere ordine nella vita: routine quotidiana di attività fisica, dieta più semplice, stop agli eccessi. Non rinnega il passato ma lo rilegge con occhi diversi: «La mia vita è stata una lunga partita, non sono stato solo a giocarla, sono grato a tutti. Dalla cima ho visto il fondo, ma ne è valsa la pena». Nella sua autobiografia confessa i demoni e prova a offrire una lezione: il successo non esclude la fragilità, e la prevenzione – medica e psicologica – è fondamentale.
Ultimo aggiornamento: giovedì 18 settembre 2025, 12:30
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