Quando lo intercettiamo, Elia Viviani è appena sceso dall’ennesimo aereo. Sta facendo la spola tra casa e il Belgio, dove correrà molte gare di un giorno, come il Memorial Schotte di qualche giorno fa e come sarà oggi per il Kampioenschap van Vlaanderen.

Il corridore della Lotto sta vivendo un buon momento, nonostante il futuro non sia così ben definito. Quel che invece non sembra intaccarsi minimamente, e lo si percepisce nel corso dell’intervista, è la sua testa. Viviani, classe 1989, è ancora uno schiacciasassi, corridore al 101 per cento. Dopo questo blocco di gare in Belgio, avrà due settimane in cui conta di andare in pista a Montichiari, prima del finale di stagione in Veneto.

Viviani vince il Memorial Schotte e mette a segno la sua 90ª vittoria da pro’ (foto Bart Vandenbroucke)

Viviani vince il Memorial Schotte e mette a segno la sua 90ª vittoria da pro’ (foto Bart Vandenbroucke)

Elia, partiamo un po’ dalla fine, dalla Spagna al Belgio, al Memorial Schotte che hai vinto. Come ci sei arrivato? E’ stata una sorta di rivincita?

Sicuramente. Ho sofferto tanto la Vuelta, che era una corsa dura. So che esco sempre bene dai Grandi Giri perché il volume di lavoro che si mette insieme mi dà tanto. La gara di martedì era molto vicina, però con la domenica senza gara e il lunedì di riposo già avevo buone sensazioni.

Quindi l’obiettivo adesso è?

Correre e vincere il più possibile da qua a fine stagione con la Vuelta nelle gambe, sapendo che un Grande Giro mi dà sempre tanto. Sono felice di essere tornato a farne uno, nonostante la sofferenza e le poche occasioni, però un Grande Giro è sempre bello. Era dal 2021 che non ne disputavo uno.

Non poco, in effetti…

Infatti, un po’ di timore iniziale ce l’avevo. Sapevo di essermi preparato bene, però alla fine non era semplice. Sono contento. Le occasioni sono state poche: un quarto posto iniziale, poi il secondo (nella tappa di Saragozza, Elia è stato retrocesso per una deviazione, ndr). Peccato non aver sprintato a Madrid. Lì avevo bei ricordi: nel 2018 ho colto una delle mie vittorie più belle, l’ultima tappa in una città come Madrid è stata fantastica. Per questo non aver sprintato è stato brutto.

Com’è stato tenere duro sulle montagne… pensando a Madrid?

Sapere che c’era l’opportunità di Madrid ha aiutato non poco. Certo, la tappa è stata eliminata. Si sapeva già da Novara che le occasioni sarebbero state poche, ma la prima e l’ultima frazione erano ghiotte. La Maglia Rossa a Torino, in Italia, e l’ultima a Madrid: so cosa vuol dire vincerla, è qualcosa di grande. Per noi velocisti non aver potuto disputare l’ultima frazione è stata una grande mancanza.

Quanta fatica per Viviani sulle salite della Vuelta. Una grande motivazione per tenere duro è stata la tappa finale di Madrid. Poi annullata per le manifestazioni pro Palestina

Quanta fatica per Viviani sulle salite della Vuelta. Una grande motivazione per tenere duro è stata la tappa finale di Madrid. Poi annullata per le manifestazioni pro Palestina

Perché?

Soffri per venti giorni sapendo di avere quell’ultima occasione. Arrivare a Madrid e non sprintare non è stato bello. Ma non solo per noi velocisti: penso anche a Pidcock, al suo primo podio, o ai giovani in squadra al primo Grande Giro. Ti svegli la mattina con la soddisfazione di aver finito e invece ti ritrovi a pensare se i tuoi familiari all’arrivo sono al sicuro o se sono finiti nel caos dei manifestanti. E’ stato brutto, umore sotto i piedi. Rientrato in hotel, mi sono cercato immediatamente un volo e sono tornato a casa la sera stessa. Umore sotto i tacchi.

Umore sotto i tacchi: però sei stato bravo a switchare subito. Una reazione da campione…

Quella è la reazione che devi avere quando sai di aver fatto tanti sacrifici, di aver sofferto tanto, e dici: «Datemi qualche gara, datemi uno sprint!».

Raccontaci della tua vittoria al Memorial Schotte. Che corsa è stata?

Era una corsa in circuito, 145-150 chilometri. Non lunghissima, però le gare nazionali qui in Belgio, le chiamano Kermess Course, hanno sempre grande intensità. Noi eravamo in cinque, altri persino solo in due. C’erano corridori importanti, alcuni reduci dalla Vuelta come me. La prima selezione ci ha lasciati in una trentina, poi sul circuito, tra vento e curve, si è fatto il resto. Alla fine siamo arrivati in tre, io, Jonas Rickaert e Dries De Bondt. C’è stato un attacco di De Bondt, che quel giorno era indemoniato, e siamo arrivati allo sprint ridotto.

Uno sprint ridotto?

Sì, prima eravamo io e De Bondt, poi è rientrato Rickaert e l’ho battuto in volata. Mi ricordava un po’ la gara dell’Europeo che ho vinto: selezione dal vento e dalle curve, finché rimani in pochi. In pianura me la cavo ancora bene!

Per Viviani il feeling con la squadra è stato subito buono. Elia ha sentito la fiducia e ha ripagato la Lotto con un buon treno

Per Viviani il feeling con la squadra è stato subito buono. Elia ha sentito la fiducia e ha ripagato la Lotto con un buon treno

Sentirti parlare con entusiasmo fa piacere. Che dire: questi vecchietti vanno ancora forte. Okay l’esperienza, ma servono anche le gambe, no?

Sì, servono le gambe e l’energia. E’ stato bello vedere anche Alaphilippe vincere in Canada, è un bel segnale. Ho ricevuto tanti complimenti anche dai corridori che venivano come me dalla Vuelta e mi dicevano: «Non sappiamo come hai fatto». In effetti dopo solo due giorni dalla fine della Vuelta, la stanchezza si sente ancora. Ma ho sempre pensato che dopo un Grande Giro, se recuperi bene, riesci a far buone cose.

Questa è testa, Elia…

Alla fine di un Grande Giro puoi buttarti sul divano per due settimane e basta, ma perdi tutto. Se sei affamato, invece, aspetti qualche giorno e poi vuoi correre… E vincere.

Com’è correre in questa Lotto? All’inizio, quando è uscita la notizia “Viviani alla Lotto”, non sembrava la tua squadra. Invece?

Invece bene. E’ una squadra organizzata con tanti giovani. Anche alla Vuelta non è mai mancato niente, staff al completo: massaggiatori, fisioterapisti, nutrizionista, lo chef, i materassi portati ogni mattina, le vasche del ghiaccio dopo l’arrivo. Non ci è mancato nulla. Ho fatto i complimenti alla squadra. A tutti gli effetti è una WorldTour e io sono stato in squadre grandi come Quick Step o Ineos Grenadiers, squadre super organizzate. E poi la fiducia che mi hanno dato: era qualche anno che non trovavo qualcuno che credesse in me.

Cosa intendi?

Ho trovato uomini in grado di fare quel lavoro lì. Da Jasper De Buyst, una garanzia, a Milan Fretin, giovane motivato, passando per Segaert che in testa al gruppo tirava per chilometri. Gente che ti rende orgoglioso e ti permette di fare risultati.

Nella testa di Elia ci sono già i mondiali su pista

Nella testa di Elia ci sono già i mondiali su pista

Immaginiamo faccia piacere vedere che, pur arrivando in ritardo a stagione iniziata, ti hanno dato le chiavi del team…

Vero! La Lotto è una super squadra. Credono nel devo team e hanno tanti giovani talenti. Widar, Van Eetvelt, Segaert… tra qualche anno sarà un gruppo ancora più competitivo.

Visto come sta andando, ci puoi dire qualcosa sul futuro?

Come ho sempre detto, ero arrivato qui per restare. Adesso c’è questa situazione della fusione (con Intermarché-Wanty, ndr) e sto aspettando notizie sui nuovi incastri fra le due squadre.

Da come parli hai ancora fame. E’ così?

Al 100 per cento. Altrimenti mi sarei già fermato. Aspettiamo notizie, ma intanto voglio aggiungere vittorie e corse. Poi c’è il mondiale su pista, dove punto all’eliminazione e alla corsa a punti. Ho parlato con Dino Salvoldi e vedremo in base alla condizione dopo Montichiari. Ma vorrei fare quelle specialità che non faccio alle Olimpiadi o che non ho potuto fare in questi anni dovendo preparare l’omnium.

Prima parlavi della Ineos: Geraint Thomas ha smesso. Che ricordi hai di lui e del team?

Geraint Thomas è un grande amico oltre che una leggenda. Lo guardavo con ammirazione già nei velodromi, quando giravo le piste per il mondo da solo insieme a Marco Villa. Allenarsi insieme, vivere entrambi a Monaco, essere in squadra: è stato speciale vederlo crescere e vincere. Per lui massimo rispetto, anche per come ha affrontato gli ultimi anni di carriera e il Giro d’Italia in particolare: ci è andato molto vicino, ha indossato la maglia rosa…

Viviani è stato in Ineos per tre stagioni: 2022-2024 e in precedenza per altre tre al Team Sky (2015-2016-2017)

Viviani è stato in Ineos per tre stagioni: 2022-2024 e in precedenza per altre tre al Team Sky (2015-2016-2017)

Però ora questo squadrone è in transizione…

Devono ricostruire un’identità. Per i Grandi Giri servono quei tre o quattro corridori speciali, e ora non li hanno. Probabilmente devono concentrarsi più sulle tappe che sulla generale. Ma con atleti come Ganna, Tarling, Turner e un Bernal ritrovato, almeno per le tappe non credo per la generale, possono vincere tanto. E poi il ritorno di Brailsford e magari l’ingresso di Thomas nello staff potrebbero essere la chiave giusta.

Perché?

Perché Geraint è sempre in stato in quel team. Conosce ogni piccola cosa, lo staff ed è fresco di gruppo, cosa che conta moltissimo in questo ciclismo. Lui sa come prepararsi e come arrivare pronti agli appuntamenti

Torniamo a te, Elia. C’è qualche gara in Belgio o in Veneto che ti piacerebbe vincere?

In Belgio sono tutte piatte e non ho una corsa preferita. L’importante è che possa disputare lo sprint. Poi cosa dire: correre in Veneto ha un sapore speciale. Mi piacerebbe il Giro del Veneto. Correre in casa, con i tifosi, sarebbe bello. Pippo Pozzato le fa dure per i velocisti, ma è il Giro del Veneto e soprattutto è una corsa in cui vorrei fare bene.