di
Livia Grossi
Da Epifanio ad Alex Drastico, da Frengo al Ministro della Paura, i personaggi raccontano (anche) alcuni disturbi della mente: «Epifanio ispirato da uno spettacolo ambientato in un manicomio»
«Epifanio è il viaggiatore immobile, prigioniero dell’ansia. Alex Drastico l’odiatore del mondo, Frengo il santo profeta della risata disarmata, il Ministro della Paura è il burocrate con l’ossessione del controllo, Cetto La Qualunque l’istrionico narcisista incarnazione della volgarità al potere. Tante maschere che interpretano la realtà e una sola persona a darle corpo. Antonio Albanese è il nostro Matto dell’anno!». Con questa diagnosi Giampietro Savuto — psicologo e psicoterapeuta, presidente della Fondazione Lighea Onlus importante realtà che dal 1984 si occupa di riabilitazione delle persone con disagio psichico — annuncia la settima edizione del suo Premio nato per portare all’attenzione del pubblico, sdrammatizzandola, il tema della malattia mentale.
Albanese, che effetto fa «sdraiare sul lettino» i suoi personaggi?
«Mi ha commosso, sono i miei figliocci, da 35 anni raccontano il Paese, sono orgoglioso di loro e felice di ricevere questo premio. La Fondazione Lighea lavora da molto tempo e non si fa condizionare, cerca di aiutare gli altri e basta, nel mio piccolo faccio la stessa cosa, tento di far notare le nevrosi che ci circondano».
Qual è il suo rapporto con la follia?
«Fascino assoluto ma anche assoluta sorpresa, trovo sempre qualcosa da scoprire. Il mio primo personaggio, Epifanio, è stato ispirato da uno spettacolo di Danio Manfredini ambientato in un manicomio con le poesie di Genet. Sono sempre stato affascinato dalla sua ingenuità e dolcezza, oggi nell’aggressività del nostro tempo, è lui il personaggio più trasgressivo. Ma anche nelle pieghe della normalità si nasconde la follia, il mio cuoco Alain Tonné è un campanello d’allarme. Il prossimo personaggio sarà un nutrizionista».
Lei ha appena scritto «Lavoreremo da grandi», una black comedy che vedremo al cinema l’anno prossimo, ma anche «La strada giovane», il suo primo romanzo…
«Da molti anni volevo raccontare del mio amato zio siciliano, un panettiere di 21 anni che fu catturato dopo l’armistizio, pensa che i tedeschi lo riportino a casa invece viene scaraventato in Austria a patire freddo e fame. È un internato militare, senza nemmeno i diritti di un prigioniero. Nino però riesce a fuggire e a tornare a casa in Sicilia percorrendo a piedi il nostro Paese. L’ho scritto per onorare mio zio e quanti come lui l’8 settembre sono stati abbandonati e illusi, ma anche per raccontare il potenziale di un giovane di 21 anni, sono felice che in qualche scuola il mio romanzo sia diventato un libro di testo».
Parliamo di Milano, la città in cui vive. Quali sono i luoghi che ama di più?
«La scuola Paolo Grassi, il teatro Ciak che fu il mio primo palcoscenico e lo Smeraldo mi hanno tatuato l’anima, ma tutta la città è interessante, qui c’è ricchezza e povertà, centro e provincia. Certo ci sono i pro e contro, sviluppo e centrifugazione».
A proposito cosa pensa del Leoncavallo e del suo recente sgombero?
«Il mio primo seminario teatrale l’ho fatto proprio lì in via Leoncavallo: ricordo che costava due lire ed era tenuto da una ragazza fantastica. Poi ho conosciuto Raul Manso, ho fatto l’accademia e tutto il resto. Arrivo da una famiglia operaia e non avevo sostegno economico, il Leo mi ha dato la possibilità di interagire con gli altri, una necessità fondamentale, il paradosso è che poi la sede del centro sociale è diventata una banca. Oggi Milano deve avere uno spazio per il Leoncavallo anche perché non tutti possono permettersi corsi che costano un sacco di soldi. In questa città gli spazi non mancano come i tanti volontari che li possono alimentare, poi le contaminazioni negative ci saranno anche, ma fa parte dei rischi del fare».
Vai a tutte le notizie di Milano
Iscriviti alla newsletter di Corriere Milano
19 settembre 2025 ( modifica il 19 settembre 2025 | 10:21)
© RIPRODUZIONE RISERVATA