di
Roberta Scorranese

Per decenni «musa» di grandi artisti come Renoir e Toulouse-Lautrec, cominciò a dipingere e arrivò a invenzioni audaci. Fino a quando osò demolire il mito delle Veneri dormienti, ritraendo un’odalisca appesantita

Parigi, 7 aprile 1938. Dietro a una bara semplice e poco adorna di fiori, sfila in lutto una folta rappresentanza della Montmartre intellettuale. Ci sono Picasso, Jacob, Derain. L’elogio funebre è letto da un uomo baffuto ed elegante, per due volte ministro di Francia. Ma di chi è il corpo nella bara? Appartiene a una donna venuta dalla periferia, figlia di padre ignoto e di madre alcolista. Una donna che ha conosciuto la fame, il buio del baratto sessuale, la vita nomade del circo e il dolore di ogni mamma con figli difficili. Si chiama Suzanne Valadon, fa la pittrice e ha avuto una vita lunga, accidentata, ben diversa da quella di alcuni degli amici che quel giorno hanno scelto di starle vicino per un ultimo saluto. 

Spesso, nel racconto delle artiste la biografia finisce per prevalere sull’analisi delle opere e delle invenzioni estetiche. È stato così per Valadon, ormai universalmente conosciuta come «modella e amante di grandi pittori», oppure «madre di Maurice Utrillo», artista tanto geniale quanto dissipato. Eppure, la storia di Valadon andrebbe riscritta al di là della sua vita romanzesca, dall’arrivo a Parigi in condizioni di quasi povertà, fino al successo come pittrice, passando attraverso le numerose relazioni con i grandi protagonisti dell’Ottocento (Toulouse-Lautrec, Renoir, Puvis de Chavannes). Artisti per i quali lavorò a lungo come modella, spesso nuda (i ritratti senza veli erano pagati molto di più), spesso superando il confine professionale. 



















































Suzanne Valadon ritratta da Henri de Toulouse-Lautrec

Ma la storia di Valadon non può essere limitata a questo, a un riflesso delle avanguardie storiche oppure a un ruolo marginale di modella di nudo in studio. La mostra che nella scorsa primavera l’ha vista protagonista al Centre Pompidou di Parigi è l’ennesima prova: Valadon è stata un’artista innovativa, con punte di coraggio estetico notevole, ammirata da alcuni — come Edgar Degas — che non solo le stettero accanto con sincero affetto, ma che la guidarono nella metamorfosi da modella a pittrice. E Valadon univa la tenacia delle donne venute dalla strada a un talento fatto di originalità, dialettica anticonformista, audacia. Quando faceva la trapezista, da ragazza, cominciò a disegnare sul cemento della strada, con carbone rubato alle tavole calde. Era bella e minuta, perfetta per il genere di donna prediletto dai francesi «fin de siecle». Renoir la ritrasse mentre si lisciava i capelli, Puvis de Chavannes accentuò le forme armoniose del suo corpo in un rimando al classico, Toulouse-Lautrec la colse in un attimo di perdizione, davanti a una bottiglia e a un bicchiere. 

Suzanne Valadon, la pittrice (ex modella di nudo) che ebbe il coraggio di dipingere una Venere invecchiata

Lei stessa racconterà di aver voluto dipingere fin da ragazza, ma non sappiamo se questa vocazione nacque, invece, più tardi, scaturita dalla frequentazione di grandi artisti. Resta il fatto che — come modella – aveva intere mattinate libere. Riprese così a disegnare, ma con un impegno molto diverso dai languori ai quali si abbandonava a partire dal tardo pomeriggio: quando si metteva davanti al foglio di carta dura, con pastelli o matita (poi con i pennelli) dimenticava il suo vero nome, Marie, e diventava Suzanne, il nom de plume che scelse ispirandosi a Susanna e i Vecchioni, iconografia pittorica tra le più famose tratta dalla Bibbia. Una storia di fragilità femminile che, alla fine, diventa una forza sovrannaturale, trascendente. Lo fece con impegno, serietà, dedizione: come una vera grande artista e fu il primo passo. Nessuno all’inizio la prese davvero sul serio, la definirono «acerba» e continuarono a ingaggiarla come modella. 

Solo Degas guardò davvero i suoi primi dipinti e la incoraggiò: dentro ci aveva visto una luce. Intanto, il vecchio (e molto esperto) pittore capì che quell’anticonformismo non era di maniera. Suzanne fu tra i primi a osare il nudo frontale, sfacciato. Comprensibile: era cresciuta confrontandosi con il corpo libero, non ne vedeva il lato pruriginoso. Per l’antico amante Puvis de Chavannes aveva rappresentato addirittura l’ideale di bellezza greco-romano, dove la nudità è la cosa che maggiormente si avvicina all’idea nobile del «vero». Non c’è alcuna vergogna nella coppia Adamo ed Eva dipinta da lei: vicini, complici e allegramente peccaminosi si lasciano sedurre dalla mela. 

Suzanne Valadon, la pittrice (ex modella di nudo) che ebbe il coraggio di dipingere una Venere invecchiata

Nel bellissimo «Il lancio della rete», del 1919, addirittura ribalta il suo destino: è lei, la pittrice (era ormai famosa e di successo) che si concede il lusso di ritrarre tre giovani pescatori completamente nudi, notati durante una vacanza in Corsica, con una sensualità salmastra che sembra trattenere una energia ottocentesca anche se le forme pulite e levigate richiamano ormai il bisogno di ordine del nuovo secolo. 

Suzanne Valadon, la pittrice (ex modella di nudo) che ebbe il coraggio di dipingere una Venere invecchiata

Certo, è stata anche la madre di Maurice Utrillo, nato anche lui da padre misterioso, ma dotato di un cognome grazie a uno degli amanti della madre. Suzanne lo affidò spesso alla madre quando era un bambino: la nonna ne calmava i capricci con il vino, facendone così un tossicodipendente sin dalla più tenera età. Insieme a lui, Valadon attraversò due guerre mondiali, numerosi rovesci di fortuna, grandi amori alcolici. Ma fu anche grazie a lui — e alle sue intemperanze — che Suzanne consolidò la sua pittura, fatta di un coraggio che pareva non conoscere età. 

Suzanne Valadon, la pittrice (ex modella di nudo) che ebbe il coraggio di dipingere una Venere invecchiata

Aveva quasi sessant’anni quando realizzò uno dei suoi dipinti più famosi, «La camera azzurra»: un letto sfatto accoglie un’odalisca invecchiata, senza più alcuna traccia di giovanile seduzione, sigaretta in bocca, senza reggiseno, con pantaloni maschili (oggi li assimileremmo a un pigiama), qualche libro qua e là, capelli raccolti in una pratica coda di cavallo. A quasi sessant’anni Suzanne Valadon si concede l’ardire di desacralizzare la «Venere Dormiente» di Giorgione, la «Venere di Urbino» di Tiziano e persino la sfrontatissima «Olympia» di Manet, scandalosa nella sua cruda nudità ma pur sempre giovane e attraente. È nella maturità che Valadon si prende la sua sottile rivincita: lei, per decenni soltanto un corpo nelle mani dei pittori, ora può permettersi di ribaltare il mito femminile per eccellenza.

19 settembre 2025