Un colpo d’astuzia per ribaltare un destino che sembrava già scritto, le urla dello storico allenatore: così Andrea ha costruito il suo capolavoro

Quando nella buca sembrano ribollire le sabbie mobili e il solito Pichardo, che già l’aveva battuto all’Europeo 2022, pare in fuga, Andrea Dallavalle da Gossolengo, Piacenza, terra di Gutturnio, pisarei e saltatori con i piedi buoni, si ricorda di indossare le mutande di Diabolik («La prima volta le ho messe a 16 anni, la gara andò bene»). A quel punto, basta un colpo d’astuzia per ribaltare un destino che sembrava già scritto: un salto, il sesto, l’ultimo, lungo 17,64 metri (+1,5 m/s), primato personale. Da quarto per un centimetro dietro l’algerino Triki, Andrea balza in vetta alla finale del triplo al Mondiale. «Ho visto la misura, mi si è chiusa la vena». Stai calmo, gli urla Ennio Buttò, il tecnico che lo allena da quando era bambino («Mi conosce meglio di quanto io non conosca me stesso»), dalla tribuna. Stai calmo, si ripete lui girandosi di spalle mentre Pichardo, il solito Pichardo, prende la rincorsa e, mannaggia, atterra sull’oro. 17,91, un salto da campione. «Ho sentito il boato, ho pregato tutte le divinità che conosco, mi sono voltato: non era nullo. Bravo lui, va bene così».
 
Bravo Andrea, anche, sesta medaglia dell’Italia in questo Mondiale già eccellente, terza d’argento insieme alle signore dell’atletica Battocletti e Palmisano. Sorride timido, gli occhi che brillano: «Mi sono detto: non posso più buttare via tutto il lavoro, basta quarti posti. Volevo essere protagonista, non più comparsa». A 25 anni, figlio d’arte in una famiglia tutta di atleti (mamma ex lunghista, papà sprinter), con una carriera rallentata dagli infortuni e il legno del Mondiale 2022 pesante come zavorra, Dallavalle è il coniglio che esce a sorpresa dal cilindro azzurro e ruba la scena al favorito Andy Diaz, compagno di squadra in Nazionale, impossibilitato a liberare l’azione dell’hop-step-jump dalle imperfette condizioni fisiche. Era il debutto stagionale all’aperto, Tokyo, la gara che Andrea immaginava da anni, reduce da un 2020 in cui aveva cambiato il piede di stacco («Non potevo fidarmi della caviglia destra, ora uso il piede sinistro»), da un 2023 in cui aveva dovuto saltare il Mondiale a Budapest, da un 2024 in totale crisi di fiducia: «Gareggiavo e saltavo sempre meno, ero dentro una spirale nera. Mi sono fatto aiutare da un mental coach, ho fatto pulizia di certe persone accanto a me, ho preso Michele Palloni, l’ex preparatore di Tamberi, più un nutrizionista. Sono rimasto fermo nelle mie decisioni, e finalmente il fisico mi ha sostenuto».

Quando sta bene, come ieri, quando la testa è libera da pensieri, Diabolik fa il suo dovere e Andrea scioglie un talento ispirato alla sublime leggerezza di Jonathan Edwards, il triplista-icona che non saltava la domenica per motivi religiosi, è un piacere per gli occhi. «Vorrei che questa medaglia mi cambiasse la vita — racconta —, senza cambiare me. Non mi monto la testa ma adesso sono tra i grandi: fino a qui ho arrancato, ora mi conoscono tutti». A dire la verità Pichardo, mentre Andrea imbandierato gli faceva l’inchino, non è stato gentilissimo. Ha preso e si è voltato. «Ha un carattere particolare, non va giudicato. Non è stato antisportivo, poi ci siamo parlati». Ma tra la folla, reduce dal kappaò al rientro a Hangzhou e pronto a giocare l’Atp 500 di Tokyo, Dallavalle ha trovato Matteo Berrettini, generoso di complimenti: «Hai fatto un numero incredibile, mi ha detto». Soprattutto nel momento in cui ieri ha avanzato la rincorsa per risolvere un problema contingente: «Arrivavo allo stacco con difficoltà, perdendo velocità sul primo balzo. Mi sono sentito subito meglio. Poi ho scommesso tutto sull’ultimo salto: all in.



















































La scommessa ha pagato, il laureato in economia aziendale è vicecampione del mondo. Racconta di essere milanista, di avere una venerazione per Valentino Rossi («Il primo orecchino l’ho messo per citare lui, poi ho pensato ai saltatori cubani tutti ingioiellati e ne ho aggiunto un secondo»), di essere stato stimolato dall’arrivo in azzurro del naturalizzato Diaz («Hanno speculato su screzi tra di noi che non ci sono mai stati»), di avere in canna una vacanza in Giappone con gli amici. È spiritoso, affabile, palesemente sollevato. «Se mi dici che sono leggero, mi fai un complimento». Così leggero, da volare.

20 settembre 2025