Donald Trump e Xi Jinping (Ansa)
Tycoon soddisfatto del colloquio telefonico: «Progressi su economia, fentanyl, Kiev». Nessuna intesa sul social, ma il bando dell’app negli States resta posticipato a dicembre.Alla fine sono tornati a parlarsi. Ieri, nel pomeriggio italiano, Donald Trump e Xi Jinping hanno avuto una lunga telefonata, dedicata a vari dossier: da TikTok alle questioni commerciali, passando per alcune tematiche di natura geopolitica.«Ho appena concluso una chiamata molto produttiva con il presidente cinese Xi. Abbiamo fatto progressi su molte questioni molto importanti, tra cui il commercio, il fentanyl, la necessità di porre fine alla guerra tra Russia e Ucraina e l’approvazione dell’accordo su TikTok», ha dichiarato il presidente americano in un post su Truth. «Ho anche concordato con il presidente Xi che ci saremmo incontrati al vertice Apec in Corea del Sud, che io sarei andato in Cina all’inizio del prossimo anno e che il presidente Xi, allo stesso modo, sarebbe venuto negli Stati Uniti al momento opportuno», ha proseguito Trump, riferendosi al prossimo summit dell’Asia-Pacific Economic Cooperation, che si terrà dal 31 ottobre al primo novembre. «La telefonata è stata molto positiva, ci sentiremo di nuovo, apprezzo l’approvazione relativa a TikTok e non vediamo l’ora di incontrarci all’Apec», ha concluso l’inquilino della Casa Bianca.Secondo la versione del colloquio fornita dall’agenzia di stampa cinese Xinhua, i due presidenti «hanno avuto uno scambio di opinioni sincero e approfondito sulle attuali relazioni tra Cina e Stati Uniti e su questioni di reciproco interesse, e hanno fornito indicazioni strategiche per lo sviluppo stabile delle relazioni tra Cina e Stati Uniti nella prossima fase». «La chiamata è stata pragmatica, positiva e costruttiva», ha proseguito la testata. In particolare, Xi ha detto a Trump che «gli Usa dovrebbero astenersi dall’adottare misure unilaterali restrittive degli scambi commerciali per evitare di compromettere i risultati ottenuti attraverso molteplici cicli di consultazioni». Il presidente cinese ha aggiunto che «la posizione della Cina sulla questione di TikTok è chiara: il governo cinese rispetta i desideri delle aziende e le incoraggia a condurre negoziati commerciali basati sulle regole del mercato e a raggiungere soluzioni conformi alle leggi e ai regolamenti cinesi e a bilanciare gli interessi». «La Cina auspica che gli Stati Uniti forniscano un ambiente imprenditoriale aperto, equo e non discriminatorio affinché le aziende cinesi possano investire nel Paese», ha anche detto Xi.Sempre stando alla versione della telefonata fornita da Pechino, Trump ha affermato che «gli Usa sperano di promuovere la cooperazione economica e commerciale tra i due Paesi e che sosterranno le consultazioni tra le due parti per risolvere adeguatamente la questione di TikTok». «Gli Stati Uniti sono disposti a collaborare con la Cina per mantenere la pace mondiale», ha aggiunto il presidente americano, che ha anche definito il rapporto tra Washington e Pechino come «la più importante relazione bilaterale al mondo». L’ultima volta che Trump e Xi si erano sentiti al telefono era stato a giugno: nell’occasione, i due leader avevano parlato soprattutto delle tensioni commerciali in corso tra Washington e Pechino. Questa volta, però, a tenere banco è stato soprattutto il tema di TikTok. Sulla base di una legge approvata l’anno scorso dal Congresso a causa di preoccupazioni legate alla sicurezza nazionale, l’app rischia il divieto negli Stati Uniti, a meno che la società madre cinese, ByteDance, non la ceda a degli acquirenti statunitensi.Ora, pur essendo stato un aspro nemico di TikTok ai tempi del primo mandato presidenziale, stavolta Trump ha scelto di seguire una linea più morbida: l’attuale presidente americano è infatti consapevole del fatto che l’utilizzo di questo social lo abbia aiutato a ottenere i consensi di molti elettori giovani alle presidenziali del 2024. È quindi anche in tal senso che, martedì, ha prorogato per la quarta volta la deadline entro cui la cessione dovrebbe aver luogo, portandola al 16 dicembre. Esattamente il giorno prima, il segretario al Tesoro americano, Scott Bessent, aveva annunciato un «accordo quadro» con Pechino su questo dossier. «Ringraziamo il presidente Xi Jinping e il presidente Donald J. Trump per i loro sforzi volti a preservare TikTok negli Usa. ByteDance lavorerà nel rispetto delle leggi vigenti per garantire che TikTok resti disponibile per gli utenti americani», ha dichiarato ByteDance, ieri sera, in una nota su X.Un altro aspetto rilevante della telefonata di ieri è che, come abbiamo visto, Trump e Xi si vedranno il mese prossimo in Corea del Sud. Anche l’annuncio del viaggio di Trump in Cina nel 2026 è, a suo modo, significativo. Era il 2017 quando l’attuale presidente americano si recò in visita di Stato nella Repubblica popolare. In tutto questo, nonostante il parziale rasserenamento, le tensioni tra Washington e Pechino persistono. Non a caso, Xi ha accusato gli Usa di adottare «misure unilaterali restrittive» in materia commerciale. Recentemente Trump ha esortato i Paesi della Nato a imporre pesanti dazi alla Cina, fin quando Mosca non cessi l’invasione dell’Ucraina. La Cina, dal canto suo, sta cercando di saldare un asse antiamericano che, pur non privo di crepe interne, va dalla Russia all’Iran, passando per la Corea del Nord.
Antonio Quirici e Diego Dolcini (iStock)
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Arrivò prima dei fratelli Lumière il pioniere del cinema Filoteo Alberini, quando nel 1894 cercò di brevettare il kinetografo ispirato da Edison ed inventò una macchina per le riprese su pellicola. Ma la burocrazia italiana ci mise un anno per rilasciare il brevetto, mentre i fratelli francesi presentavano l’anno successivo il loro cortometraggio «L’uscita dalle officine Lumière». Al di là del mancato primato, il regista e produttore italiano nato ad Orte nel 1865 poté fregiarsi di un altro non meno illustre successo: la prima proiezione della storia in una pubblica piazza di un’opera cinematografica, avvenuta a Roma in occasione dell’anniversario della presa di Roma. Era il 20 settembre 1905, trentacinque anni dopo i fatti che cambiarono la storia italiana, quando nell’area antistante Porta Pia fu allestito un grande schermo per la proiezione di quello che si può considerare il primo docufilm in assoluto. L’evento, pubblicizzato con la diffusione di un gran numero di volantini, fu atteso secondo diverse fonti da circa 100.000 spettatori.
Filoteo Alberini aveva fondato poco prima la casa di produzione «Alberini & Santoni», in uno stabile di via Appia Nuova attrezzato con teatri di posa e sale per il montaggio e lo sviluppo delle pellicole. La «Presa di Roma» era un film della durata di una decina di minuti per una lunghezza totale di 250 metri di pellicola, della quale ne sono stati conservati 75, mentre i rimanenti sono andati perduti. Ciò che oggi è visibile, grazie al restauro degli specialisti del Centro Sperimentale di Cinematografia, sono circa 4 minuti di una storia divisa in «quadri», che sintetizzano la cronaca di quel giorno fatale per la storia dell’Italia postunitaria. La sequenza parte con l’arrivo a Ponte Milvio del generale Carchidio di Malavolta, intenzionato a chiedere al generale Kanzler la resa senza spargimento di sangue. Il secondo quadro è girato in un interno, probabilmente nei teatri di posa della casa di Alberici e mostra in un piano sequenza l’incontro tra il messo italiano e il comandante delle forze pontificie generale Hermann Kanzler, che rifiuta la resa agli italiani. I quadri successivi sono andati perduti e il girato riprende con i Bersaglieri che passano attraverso la breccia nelle mura di Porta Pia, per passare quindi all’inquadratura di una bandiera bianca che sventola sopra le mura vaticane. L’ultimo quadro non è animato ed è colorato artificialmente (anche se negli anni alcuni studiosi hanno affermato che in origine lo fosse). Nominata «Apoteosi», l’ultima sequenza è un concentrato di allegorie, al centro della quale sta l’Italia turrita affiancata dalle figure della mitopoietica risorgimentale: Cavour, Vittorio Emanuele II, Garibaldi e Mazzini. Sopra la figura dell’Italia brilla una stella che irradia la scena. Questo dettaglio è stato interpretato come un simbolo della Massoneria, della quale Alberici faceva parte, ed ha consolidato l’idea della forte impronta anticlericale del film. Le scene sono state girate sia in esterna che in studio e le scenografie realizzate da Augusto Cicognani, che si basò sulle foto dell’epoca scattate da Ludovico Tumminello nel giorno della presa di Roma. Gli attori principali del film sono Ubaldo Maria del Colle e Carlo Rosaspina. La pellicola era conosciuta all’epoca anche con il titolo di «La Breccia di Porta Pia» e «Bandiera Bianca».
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