Nel mondo più che al contrario nel quale viviamo non è difficile trovarsi a commentare la realtà con la stessa propensione con la quale, al più, si dovrebbero contemplare illusioni e utopie. Un mondo nel quale il vuoto idealistico e ideologico ha provocato non la consacrazione di un sano realismo politico, con il suo talvolta carico di eventi e fatti, difficili da comprendere senza una robusta conoscenza degli eventi, ma uno slancio annacquato alla ricerca costante di una “popolarità” politica che non si limita più alle questioni interne, ma alla delicata arte della politica estera che oggi si muove in un contesto instabile.
Eppure ogni giorno assistiamo alla rincorsa di un consenso che non è tanto elettorale quanto ancorato a una banale proiezione della necessità. Così accade che chi si muove con oculatezza viene additato prima e liquidato poi come “isolato”, chi invece si lancia verso il nulla assume la veste del pioniere politico, del nulla, ma pioniere. Quello che, per sottrarre a Martin Heidegger la sua celebre e contestata espressione è per l’appunto “il nulla che nulleggia”. Diversamente non potrebbero essere catalogate le corse al riconoscimento della Palestina nell’attuale condizione storica. Riconoscere cosa? Ma soprattutto chi? Ed è questa la lesione maggiore sul ponte ideale che Londra ha provato a erigere nuovamente con l’altro lato dell’oceano, quel “nuovo mondo” per usare l’espressione di Winston Churchill verso cui è profondamente legata. Quel non detto pubblicamente, trapelato con un secco “sul punto non siamo d’accordo “di Trump verso Starmer. Che poi è lo stesso che separa Londra e Parigi da Roma e Berlino. Sul balzo nel vuoto storico di Parigi, infatti, tanto l’Italia quanto la Germania sono propense ad un secco “no” che ha il suo senso e le sue ragioni.
I tempi non sono maturi, e anzi il rischio è quello di favorire il gioco di Hamas e soci. Anche perché è evidente a tutti che l’Anp non ha né la forza né la legittimazione per assumere il ruolo guida di un futuristico, ad oggi, Stato palestinese. Così come appare evidente il disinteresse nei fatti dei Paesi arabi che come già in passato anche oggi considerano la questione palestinese come un problema da rifugiare e si limitano a dichiarazioni atte a calmierare le loro popolazioni interne. Per questo il prossimo “round” all’Onu rischia di tramutarsi in una lotta tutta occidentale che non arriverà a nulla se non all’ennesimo scontro autodistruttivo. Fortunatamente Italia e Germania, per ragioni storiche e anche per sensibilità politica, hanno preferito la via della ragione a quella della sottomissione alle piazze abilmente manovrate.
Nato nel 1994, esattamente il 7 ottobre giorno della Battaglia di Lepanto, Calabrese. Allievo non frequentante – per ragioni anagrafiche – di Ansaldo e Longanesi, amo la politica e mi piace raccontarla. Conservatore per vocazione. Direttore di Nazione Futura dal settembre 2022. Fumatore per virtù – non per vizio – di sigari, ho solo un mito John Wayne.
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Pasquale Ferraro