sotto le nuvole

Una scena di Sotto le nuvole, il documentario di Gianfranco Rosi premiato a Venezia e adesso nei cinema.

IL MAESTRO DI CINEMA DEL REALE Gianfranco Rosi torna in sala con il bianco e nero sfolgorante di Sotto le nuvole. È il documentario vincitore del Premio della Giuria al Festival di Venezia, dove è stato amato, in verità, più dalla critica internazionale che da quella italiana.

Per Rosi, un ritorno sul luogo della vittoria: nel 2013, infatti, vinse il Leone d’Oro con Sacro GRA. Aggiungete l’Orso d’Oro vinto a Berlino 2016 con Fuocoammare. E la lista premi continua…

Che storia racconta Sotto le nuvole: la trama del film nei cinema

Napoli. Legate dalle telefonate smistate dal centralino dei vigili del fuoco e dalle paure – non solo del terremoto o di nuove attività vulcaniche – sono molte le storie che si sviluppano all’ombra del Vesuvio. Mogli spaventate e mariti violenti. Archeologi giapponesi, tombaroli e marinai siriani al lavoro per scaricare il grano ucraino al porto di Torre Annunziata. Un imprevedibile maestro che ogni giorno attira a sé un nugolo di ragazzini regalando loro un’alternativa ai vicoli.

Sono tutti protagonisti di una quotidianità che non è quella alla quale siamo abituati a pensare. Qui convivono ansia, preoccupazione, dolore, impegno, gioco, passione e memoria. Giorno dopo giorno. Ancora e ancora…

Sotto le nuvole di Gianfranco Rosi: ovvero, Napoli come un presepe su cui non splende mai il sole- immagine 3

La recensione del documentario Sotto le nuvole: Napoli è vita, mondo e Tempo

La Napoli dai “mille culure” stavolta mostra la sua faccia nascosta. In bianco, grigio, nero. Fotografata dallo stesso Gianfranco Rosi dopo tre anni trascorsi immerso nella città. Ascoltandone la voce, con pazienza, rispettandone i tempi. Il regista dice di essere stato in attesa del momento giusto, della luce giusta, anche per settimane. Il ritmo continuo del film, senza pause nel passaggio da un personaggio/luogo all’altro, nasce da qui. La parte più magica è quella nella stanza più misteriosa del Museo Archeologico Nazionale: qui la macchina da presa riporta in vita statue acefale e bronzi emersi dallo sventramento della città. È una Napoli che non c’è più mescolata a quella più ordinaria. La metafora è chiara: qui convivano vero e falso, imitazione e autenticità, ieri, oggi e domani. Da sempre e per sempre.

Un presepe napoletano vivente su cui il sole non splende mai

Sempre sotto quelle nuvole che sovrastano imparziali le figure di un presepe moderno, spettrale e poetico insieme. Rosi insegue una Napoli diversa da quella “di moda” negli ultimi anni o da quella degli scugnizzi che a lungo ha monopolizzato l’immaginario collettivo. Quella di Sotto le nuvole è una città sulla quale non splende il sole. Eppure è luminosa. Una città nella quale il futuro sembra a rischio, eppure le radici sono così profonde e solide da permettere qualsiasi sogno.

Sotto le nuvole di Gianfranco Rosi: ovvero, Napoli come un presepe su cui non splende mai il sole- immagine 4

A rischio di sfociare nella retorica visiva, il bianco e nero accentua la sospensione temporale. Lungi dall’essere mera soluzione estetica, la scelta entra nella narrazione. È un modo per trasformare la realtà, mostrarla senza pregiudizi o suggerimenti, eliminando il superfluo da una storia nella quale l’ampiezza del registro, la molteplicità delle storie e dei punti di vista può disorientare. Ma nella quale c’è tanta vita sospesa che diventa gesto di resistenza.

6 domande al regista Gianfranco Rosi

Ha definito la terra intorno al golfo un’immensa macchina del tempo: perché?

Il film è un viaggio nel tempo, nello spazio e nella memoria. Attraversando il confine quasi invisibile tra quello che è, quello che è stato e quello che potrebbe essere. Tra un tempo sospeso e un tempo costantemente in trasformazione. Penso sempre, quando giro, che sto facendo l’ultimo film. Qui in realtà pensavo spesso al mio primo Boatman. Ho pensato che il bianco e nero ci costringe a vedere le cose in maniera diversa, e quindi a trasformare anche la realtà in qualcos’altro.

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Gianfranco Rosi con il Premio della critica vinto al Festival di Venezia 2025. Foto Getty

Imparare a vedere le cose in bianco e nero

Forse per pudore. È stata una scelta iniziale, narrativa: non estetica. Ho girato in bianco e nero, non è stata una decolorazione successiva in digitale, per cui ho dovuto anche imparare a vedere le cose in bianco e nero. Per cogliere tutte le sfumature dei grigi. Le nuvole poi sono una specie di protezione, perché ti permettono di girare a 360 gradi, senza ombre o eccessi di luce. Aiutano a trovare la distanza giusta con quello che stai raccontando. E per non avere contrasti eccessivi, devi filmarle in bianco e nero. Io e Alberto, il mio assistente che è di Napoli e mi ha portato nelle zone più impensate e nascoste, abbiamo aspettato anche per settimane la luce giusta per girare. È bello poter dire «oggi non giro» senza sentirsi in colpa perché è una giornata di sole.

E cosa ha trovato in questa Napoli impensata e nascosta?

Ho ripreso la Napoli dei paesi vesuviani e della Valle del Sarno. In città ho girato solo un episodio, nei sotterranei del MAN. Il Museo Archeologico Nazionale custodisce 2.500 anni di storia e i tesori che arrivano dai Campi Fregrei, Pompei, Ercolano. È il collettore della ricchezza della città. L’idea me l’ha data una battuta del mio amico Pietro Marcello: napoletano, da sempre voleva fare un film a Napoli. Mi ha detto: «Non so se avrò la pazienza e la tua devozione per stare così tanto tempo in un luogo e raccontarlo». Ho accettato la sfida. Per iniziare ho fatto un paio di viaggi da turista. Napoli mi è subito parsa una città che nasconde sempre qualcos’altro: come un fuoricampo immenso.

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Bertolucci e le fotografie

Fotografia e fuoricampo sono evidentemente legati...

A proposito di Sacro GRA, Bernardo Bertucci mi disse: «Quello che mi ha colpito è che tu racconti anche quello che non si vede, che è fuori». Girare per me è sempre un impegno enorme e ogni volta che piazzo la cinepresa è come la prima volta, c’è sempre una specie di ansia di non sapere cosa inquadrare, cosa succederà mentre filmo. I documentari non hanno una sceneggiatura e non so mai che sarà. Io faccio molta fatica a fare le fotografie, perché non riesco a dare un prima e un dopo a quell’immagine. La foto perfetta è quella che contiene il prima e il dopo, quindi anche quello che non si vede. Quindi la ricerca è sempre di questo fuoricampo, di questo qualcos’altro, e questo è ciò che mi ha spinto a fare questo film e ad accettare questa sfida.

Da turista e lavorandoci, come ha vissuto l’overtourism di Napoli?

Per quanto riguarda il set, andavo da un’altra parte. Penso sia una nuova forma di colonizzazione, che distrugge il tessuto sociale. Va benissimo che tutti abbiano la possibilità di viaggiare, però diventa un turismo talmente mordi e fuggi, che poi le conseguenze sono molto più gravi dei vantaggi minimi che può portare. Giorni fa ero a Palazzo Corsini, uno dei musei più belli di Roma dove vado spesso perché è vicino a casa mia, e ho visto una signora che è entrata, non si è guardata nemmeno intorno, ha fatto una foto ed è uscita! Le ho detto: “Scusi, può tornare un attimo indietro? Si siede due secondi, guarda, poi fa la foto ed esce”. Mi ha guardato come se fossi pazzo, ma se questo è turismo…

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Sotto le nuvole,. il documentario di Gianfranco Rosi

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In Notturno, il suo film precedente, raccontava il Medio Oriente e le zone di guerra. Come vive oggi il dibattito su Gaza? Si dovrebbe vivere a Gaza per raccontare quello che sta accadendo lì, purtroppo non arrivano molte immagini da quell’inferno. Penso che in questo momento tragico e di distruzione, ogni dimostrazione sia la benvenuta. Ma poi deve esserci un seguito, la voce deve continuare. Mi chiedo per quale motivo non ci sia stata una manifestazione con 3 milioni di persone davanti all’ambasciata, o alle ambasciate di tutto il mondo. Non deve finire tutto domani, non possiamo permetterci di richiuderci nel nostro egoismo quotidiano.