Questa intervista a Fabio Bacà è pubblicata sul numero 39 di Vanity Fair in edicola fino al 23 settembre 2025.

La prima volta che Fabio Bacà ha pensato al suicidio è stato sulla soglia dell’adolescenza. «A 12 anni mi sono preso una cotta per una donna sposata di 26 che non mi avrebbe mai corrisposto. Soffrivo così tanto che speravo di morire per non provare più quel dolore. Guardavo il balcone del secondo piano dove abitavo e pensavo che avrei potuto buttarmi di sotto. Kierkegaard diceva che non esiste un essere umano che non abbia mai pensato almeno una volta al suicidio come estinzione del proprio dolore contingente, e credo che avesse ragione». In L’era dell’Acquario, il suo terzo romanzo pubblicato come gli altri da Adelphi, al suicidio pensano due personaggi: Chloe, una sex influencer da milioni di follower che, nonostante il successo su OnlyFans, si sveglia una mattina chiedendosi come porre fine alla sua vita, e Samuele, adolescente con una disabilità alle gambe che ragiona su un piano meticoloso per uscire di scena in maniera dignitosa. A ben guardare però Bacà, 53 anni, scrittore e personal trainer, finalista del premio Strega e del Campiello, della morte si è sempre occupato, anche se è in questa storia un po’ thriller e un po’ misteriosa che riesce finalmente a guardarla in faccia.

Perché scrivere della morte?
«Ho iniziato a rifletterci durante il covid, quando il gatto della mia compagna è venuto a mancare e lei ogni giorno si chiudeva mezz’ora in bagno a piangere sommessamente. Me ne sono accorto per caso, e non sapevo come consolarla perché quel dolore mi sembrava da un certo punto di vista paradossale, considerando il periodo che stavamo vivendo. Mi sono, però, reso conto di un’altra cosa».

Cioè?
«Anche se stavamo insieme da 13 anni, non sapevo se la mia compagna fosse credente. Ogni volta che le facevo la domanda, la eludeva con abilità. Lì ho capito che avrei dovuto scrivere della morte e, in particolare, della pre-morte, quell’esperienza descritta così bene da Raymond Moody in La vita oltre la vita».

Il primo contatto di Fabio Bacà con la morte?
«A 7 anni, quando è morto mio nonno. Ricordo come se fosse ieri la tranquillità emotiva della mia famiglia, deflagrata per la perdita di quel patriarca che ha reso mia nonna vedova per metà della sua vita. Al di là di questo, la morte mi ha sempre interessato. Soprattutto da adolescente».