Uso lo smalto semipermanente ormai da anni. Più che un vezzo è per me un’abitudine che mi permette di tenere le mani sempre in ordine. E per il mio lavoro a contatto con il pubblico è davvero importante. Ho letto però della nuova normativa sugli smalti e mi sono preoccupata. Non vorrei essermi esposta, e continuare ad espormi, a un rischio per la mia salute. Cosa c’è da sapere?
Tiziana
Risponde la professoressa Pucci Romano
Pucci Romano è medico specialista in Dermatologia e Venereologia e insegna all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. Membro di associazioni dermatologiche nazionali e internazionali, collabora con riviste e testate nazionali.
È presidente di Skineco, associazione scientifica di ecodermatologia, e de Il Corpo Ritrovato, per l’accudimento dermocosmetologico nel paziente oncologico. È autrice di “Buddista per caso” (Bompiani), “A tavola non si invecchia” (Giunti), “Un’amica per la pelle” (Giunti), “Beauty food: la dieta della bellezza” (Sperling&Kupfer), “Questioni di pelle” (Sperling&Kupfer). Di recente ha pubblicato anche il suo primo romanzo, “La Soluzione”. Attraverso i suoi profili social diffonde ogni giorno la conoscenza in materia di eco-dermocosmesi e oltre.
TPO e DMTA: cosa sono
Il TPO è un fotoiniziatore che, esposto alla luce UV delle lampade dell’estetista, consente la polimerizzazione dei gel per unghie. È quindi un ingrediente chiave per ottenere la “presa” e la durata tipica dello smalto semipermanente. Il DMTA è un co-iniziatore, spesso usato insieme a fotoiniziatori come il TPO. Sul DMTA, però, non esistono ancora pareri recenti del Comitato Scientifico per Sicurezza dei Consumatori (SCCS), né specifici Regolamenti comunitari ad hoc. Il suo divieto rientra nell’azione coordinata dell’UE per eliminare sostanze con potenziali rischi tossicologici dai prodotti cosmetici. Purtroppo, dal primo parere scientifico sul TPO e la sua messa al bando sono passati ben 10 anni, un tempo durante il quale sono emersi nuovi studi sulla tossicità della sostanza. Dal punto di vista della salute pubblica, questi tempi lunghi possono apparire problematici: consumatori e professionisti del beauty hanno usato per anni prodotti contenenti una sostanza oggi riconosciuta come tossica per la riproduzione. D’altra parte, la messa al bando è motivo di prevenzione poiché non esistono prove certe che il TPO sia tossico.
L’applicazione del principio di precauzione
La messa al bando di sostanze come TPO e DMTA dimostra l’efficacia ma anche la lentezza del sistema regolatorio europeo. Queste decisioni non devono generare panico nelle persone, ma in un certo senso di rassicurarle, poiché l’Unione Europea ha legiferato non sulla base di prove cliniche dirette sull’essere umano, bensì su solide evidenze tossicologiche sugli animali e applicando il principio di precauzione. È questo un concetto in cui SKINECO crede fortemente e porta avanti da anni. Tale principio si basa sul presupposto che è meglio prevenire l’esposizione dei consumatori a molecole potenzialmente dannose, anche in assenza di casi documentati.
Smalto: occhio all’etichetta
Dallo scorso 1 settembre non solo produttori e distributori non possono più immettere sul mercato cosmetici contenenti TPO o DMTA, ma hanno l’obbligo di gestire il ritiro dei prodotti non conformi. I centri estetici e i nail artist non possono utilizzare neppure scorte già acquistate, perché la legge non prevede un periodo di smaltimento. A chi ha imparato i segreti della nail art e si diletta a casa, raccomando di prestare attenzione alle etichette INCI per verificare che né TPO né DMTA siano presenti nello smalto scelto. Alcuni marchi indicano già prodotti “TPO-Free” per garantire conformità. Al momento esistono altri ingredienti cosmetici, come il Bis-acylphosphine oxide (BAPO) e il Ethylhexyl dimethylaminobenzoate (EDB) che svolgono la medesima funzione del TPO e DMTA e non sono attenzionati come tossici.
Il futuro che verrà: le alternative ecodermocompatibili
Ad oggi alcune aziende stanno focalizzato i propri studi sulle alternative ecodermocompatibili. Talune stanno sviluppando fotoiniziatori da fonti rinnovabili, come la biomassa e gli scarti agroalimentari, con un approccio “green chemistry”. Altre stanno esplorando fotoiniziatori di origine vegetale, derivati da acido ferulico, cumarina, flavonoidi. La sfida futura sarà quella di coniugare la rigorosità scientifica con una maggiore rapidità decisionale, favorendo la ricerca e lo sviluppo di alternative sicure ed ecosostenibili.